Coronavirus, i numeri in chiaro. Tizzoni: «Inevitabile l’aumento dei decessi. Il dato sui positivi in Italia? Potrebbero essere sei volte tanti»
Con circa 103.223 tamponi (ieri erano 99.839), i casi di Coronavirus registrati nelle ultime 24 ore sono stati +1.638, circa 270 in meno rispetto a ieri (+1.907). Il dato più sorprendente di oggi è però il numero di decessi, balzato a 24, contro i 10 del giorno prima. Per Michele Tizzoni, ricercatore in epidemiologia computazionale della Fondazione Isi, Istituto per l’Interscambio Scientifico, di Torino, il numero dei decessi più alto «era abbastanza atteso».
Per quale motivo?
«Dopo un aumento dei casi a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane inevitabilmente arriva anche un aumento nelle ospedalizzazioni e quindi nei decessi. Alla fine si tratta di misurare dei ritardi: i dati di oggi raccontano quello che è successo in passato e che siamo in grado di vedere soltanto con un certo ritardo. Non è un trend del tutto inatteso».
Secondo lei facciamo abbastanza tamponi?
«Si possono fare anche tantissimi tamponi ma il numero assoluto ci dice poco. Il dato da guardare è la percentuale di positivi sul totale dei tamponi. L’Oms dice che la soglia oltre alla quale non si dovrebbe andare è del 5%. Attualmente noi siamo sul 3% circa, una percentuale ancora accettabile. Idealmente bisognerebbe stare sotto all’1%. Ci eravamo arrivati più o meno nei mesi di luglio. Naturalmente, il numero varia anche da regione a regione. Comunque a grandi linee, più ci si avvicina alla soglia del 5%, più l’epidemia diventa “fuori controllo”».
In Francia ultimamente sono stati fatti più tamponi che in Italia. Vengono fatti soprattutto ai positivi?
«Come ho detto, non è al dato assoluto che bisogna guardare. Prendiamo il caso spagnolo: la media per il Paese è sopra al 10%, a Madrid in alcune zone arriva al 20%. In quel caso è probabile che stessero testando soprattutto i positivi, e quindi certificando una positività già verificata. Mentre invece avere una percentuale vicino all’1% vuol dire che si fanno molti più positivi rispetto ai casi che si trovano, proprio perché si riescono a testare anche tutte le persone che sono entrate in contatto con una persone che è risultata positiva».
Stando ai dati di oggi in Italia ci sono 43.161 persone attualmente positive. Quanto è attendibile questo dato?
«Sappiamo che il numero di persone attualmente positive è fatto dal numero di persone che sono state testate positive e che non sono ancora guarite. Questo numero risente di una serie di ritardi e complicazioni, come per esempio l’obbligo di due tamponi negativi per certificare la fine dell’infezione. Sicuramente non è il vero numero. Ricordiamo che all’inizio dell’epidemia l’Istat stimava che in media viene trovata una persona positiva ogni sei. Quindi nell’ipotesi peggiore potrebbero essere sei volte tante. Nella migliore delle ipotesi invece i positivi potrebbero esser 2 o 3 volte quelli che abbiamo visto nelle ultime settimane. Naturalmente, visto che i dati fotografano una realtà già “vecchia”, dobbiamo anche tenere conto dei positivi che risulteranno tali nelle prossime settimane».
Nel valutare l’aumento quotidiano nei casi, a quale dettaglio dobbiamo prestare più attenzione?
«Più che il numero totale di casi dovremmo guardare la distribuzione per età. Ultimamente è aumentata l’età mediana dei casi sopra ai 50 anni e, come sappiamo, i rischi diventano progressivamente sempre maggiori dai 70 anni in più. Il risultato è stato un aumento nei ricoveri, anche in terapia intensiva. I casi che vengono diagnosticati adesso saranno le terapie intensive tra due settimane. Al momento possiamo essere contenti da una parte che la crescita non è come in Francia o in Spagna, ma ovviamente non vuol dire che dobbiamo essere totalmente ignari rispetto a quello che può essere un aumento dei casi».
Per quale motivo l’età mediana è così significativa?
«Mediana significa che il 50% dei casi sta sotto a quel dato, e l’altra metà sopra. Si tratta di un dato che ci aiuta di più a capire la distribuzione dei casi. Ad agosto i casi erano molto più giovani ma adesso si comincia a vedere questo spostamento. Il rischio è che l’infezione possa trasferirsi dai più giovani ai più anziani. Per questo dobbiamo fare tutto il possibile per evitarlo».
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