Chi sale e chi scende dopo il voto: le possibili conseguenze sul governo (e sui leader politici)
La partita politica delle Regionali è aperta. La posta in gioco è alta, per il futuro prossimo delle realtà locali, ma non solo. L’esito del voto – unito a quello del referendum sul taglio dei parlamentari – si farà sentire ben oltre i confini territoriali di Toscana, Puglia, Liguria, Campania, Marche, Veneto e Valle d’Aosta, e sconfinerà inevitabilmente sull’ancora più complesso campo da gioco nazionale.
Pd e Movimento Cinque Stelle corrono divisi praticamente ovunque, tranne che in Liguria, dove sostengono il candidato civico Ferruccio Sansa. Una sconfitta alle Regionali, alla vigilia di un inverno complesso vissuto all’ombra di un pericoloso ritorno di contagi da Coronavirus, significherebbe – per i dem in primis – accusare un colpo ben più significativo del singolo dato regionale.
Guardando alle Regioni in cui si vota, quattro sono guidate dal centrosinistra (Toscana, Marche, Campania e Puglia), due dal centrodestra (Liguria e Veneto). In Valle d’Aosta, invece, le elezioni non prevedono la nomina di un governatore, ma solo di liste. La bilancia sta per spostarsi, e sui possibili nuovi equilibri, si aprono scenari che coinvolgono tutte le forze politiche.
Se la Toscana cambia “padrone”
Una delle realtà più determinanti per il campo da gioco nazionale è la Toscana. Nella roccaforte rossa il centrosinistra si affida a Eugenio Giani, appoggiato oltre che dal Pd anche dai renziani di Italia Viva. Ma il tentativo di blindare la Regione potrebbe rivelarsi più complicato del previsto. Secondo i sondaggi, i giochi sono apertissimi. La leghista Susanna Ceccardi punta a ribaltare la tradizione politica locale e a insediarsi in una Regione non più così rossa. In questo quadro, il M5S va per contro proprio: nessun accordo con il Pd che spera così nel voto disgiunto.
Zingaretti in bilico
Una vittoria del centrodestra in Toscana metterebbe in forte discussione la leadership del segretario del Pd Nicola Zingaretti. Perdere la Regione rossa sarebbe una sconfitta dal valore simbolico enorme soprattutto alla luce di una partecipazione per ora piuttosto timida di Zingaretti nelle dinamiche del governo.
Un colpo forte alla sua segreteria che, nel caso di una sconfitta 5 a 1, con la Campania unica Regione difesa (il governatore uscente Vincenzo De Luca dovrebbe essere riconfermato per la terza volta), sarebbe forse fatale. In caso di uscita di scena del segretario, sarebbe concreta la possibilità di un rimpasto di governo.
Se Puglia e Marche virano a destra
In Puglia la partita si gioca in difesa per l’uscente dem Michele Emiliano, alle prese con la concorrenza interna del candidato di Italia Viva e Azione, Ivan Scalfarotto. Una situazione che potrebbe tirare la volata a Raffaele Fitto, di Fratelli d’Italia, già governatore 15 anni fa. Giorgia Meloni punta in alto anche nelle Marche, dove Francesco Acquaroli pare in vantaggio. Anche qui nessun accordo tra Pd e M5S, il pentastellato Mercorelli corre da solo.
Meloni insidia Salvini
Per quanto si parlerebbe di vittoria del centrodestra, il bis di Meloni in Puglia e Marche confermerebbe l’ascesa della leader di FdI, ai danni di Matteo Salvini. Il leader della Lega vedrebbe messo sempre più in discussione il suo primato sul centrodestra, con Meloni che punterebbe in maniera decisa a scalzarlo dal ruolo di guida unica della coalizione. Sarebbe solo una vittoria di “consolazione” quella in Veneto con la riconferma di Luca Zaia per la terza volta, considerata l’identità di leader quasi a sé stante del governatore.
Se il Sì (al referendum) vince ma non convince
E poi c’è la partita per il referendum costituzionale per il taglio dei parlamentari, l’altro grande ago della bilancia. Il Paese è chiamato ad esprimersi per il Sì o per il No, senza obbligo di quorum, sulla sforbiciata di 230 deputati e 115 senatori a partire dalla prossima legislatura. Mentre per i pentastellati quella della riduzione del numero degli eletti è una battaglia storica, dal Pd è arrivato un timido Sì, con personalità del calibro di Romano Prodi e Walter Veltroni che si sono sfilate.
Meloni e Salvini si sono schierati per il Sì nonostante i molti parlamentari di Lega e Fi si siano dichiarati contrari al taglio. Libertà di voto in Forza Italia, con il No che però attira tanti consensi. Lo scenario è complesso. Per il Movimento Cinque Stelle la soglia da raggiungere per considerare vinta appieno la battaglia è il 65%, obiettivo all’inizio ritenuto alla portata. Ma che ora sembra un po’ meno scontato.
Di Maio sempre più all’angolo
Luigi di Maio punta a intestarsi la vittoria di una delle battaglie su cui il Movimento ha costruito la propria identità. Ma il timore è quello di un risultato mediocre. Una vittoria risicata del Sì non andrebbe a compensare un risultato alle Regionali che si annuncia molto negativo. Per l’ex leader pentastellato potrebbe essere il colpo di grazia, che aprirebbe la strada ad Alessandro Di Battista. Un ritorno alle origini che potrebbe in buona parte significare anche un ritorno all’opposizione.
Conte guarda al rimpasto
In questo scenario, il premier Giuseppe Conte osserva gli sviluppi defilato eppure consapevole che un risultato negativo di Pd e M5s alle Regionali e al referendum rischierebbe di condizionare pesantemente il suo destino. Una vittoria del centrodestra manderebbe in fibrillazione il governo, e renderebbe un rimpasto la soluzione più immediata per evitare la crisi.
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