D’Alimonte: «Ho votato sì al Referendum ma ora temo una nuova legge elettorale. Il M5S vuole un ritorno al passato»
Suscitando qualche perplessità tra gli attenti lettori dei suoi sondaggi, il politologo Roberto D’Alimonte, docente di sistema politico italiano alla Luiss di Roma, aveva dichiarato qualche settimana fa che avrebbe votato sì al referendum sul taglio dei parlamentari. Come lui si è espresso circa il 70% degli italiani. Mentre si contano le ultime schede, raggiungiamo D’Alimonte per un’analisi del voto.
Professore, è contento per la vittoria del sì?
«Sono contento e allo stesso tempo preoccupato. Sono stato un sostenitore del sì e penso che il risultato sia un fatto positivo perché è un segnale di cambiamento. Ma sono preoccupato perché la vittoria del sì porta con sé il rischio di una legge elettorale sbagliata. Quella annunciata dai Cinque Stelle, che Di Maio chiama impropriamente “un proporzionale germanico”, è un ritorno al passato italiano».
Mi scusi ma allora perché ha votato sì all’anticamera della riforma?
«Io ho sempre sostenuto che il referendum non portasse alcun danno. L’italia è il Paese con più parlamentari al mondo: abbiamo 945 legislatori, più degli Stati Uniti, dell’India. Che senso ha? Il vero rischio è la riforma elettorale e le dico che quelli del Movimento Cinque Stelle l’avrebbero portata avanti anche con la vittoria del no. E sa perché?».
Mi dica.
«Perché vogliono un sistema che consenta ai partiti di non dover comunicare agli elettori le alleanze prima del voto. Io invece voglio un sistema che li obblighi a dire con chi si vogliono schierare. Ha visto infatti come si sono ringalluzziti?».
Di Maio ha detto «Ce l’abbiamo fatta ancora una volta».
«E io mi batterò ancora di più contro la riforma costituzionale, legittimato dal fatto che ho votato sì e dunque dimostrando che non ho pregiudizi. Non ho votato no per affondare il movimento, come hanno fatto in molti».
Molti hanno identificato il voto per il referendum con un voto a favore dei Cinque Stelle.
«Il movimento ne ha fatto una battaglia contro la casta e quindi il sì è stato interpretato da molti come una misura populista, ma non è così. A me non frega niente del taglio dei costi, vedo solo che avevamo troppo legislatori rispetto all’Europa e ora non li abbiamo più. Guardo il merito, non chi propone e con quale spirito».
Due dati: il no che vince nei centri storici, facendo tornare in auge il cosiddetto partito della Ztl, e il sì che raggiunge l’80% al Sud.
«Ce lo aspettavamo. La narrazione “taglio della casta” era più popolare al sud. Così come, appunto, in un certo elettorato il no alla riforma è stato un no al movimento».
Dunque considerando che ha vinto il sì, ha vinto il movimento?
«Vediamo i voti che hanno preso alle regionali: quello è il Movimento Cinque Stelle. Sono in declino e non sarà il referendum a cambiare la corsa. Io mi auguro solo che non crollino adesso. Sotto il 10% comincerei a preoccuparmi per la stabilità del governo. Comunque in questo momento abbiamo il Movimento che rivendica la vittoria del referendum e il Pd che rivendica i successi in Puglia e Toscana. Insomma festeggia il governo».
Il Pd finora ha dovuto accettare su molte cose la linea del M5S, scetticismo sul Mes compreso. Adesso gli equilibri cambieranno?
«Entrambi i partiti hanno interesse che il governo continui e troveranno compromessi su tutto per tirare avanti fino alla fine del 2021 se non oltre, compreso il Mes. In questo Conte è abilissimo. Francamente non ho ho mai avuto dubbi sulla tenuta del governo. Di sicuro i risultati di questo voto sono positivi per entrambi: il referendum per il M5S e le regionali per il PD».
Parliamo delle regionali. Cosa è successo in Puglia? Emiliano lo davano per spacciato.
«Emiliano ha costruito una rete di alleanze clientelari pazzesche. Un’operazione scandalosa per quanto legittima. Centinaia di candidati a caccia di preferenze…»
Anche De Luca.
«De Luca ne aveva meno bisogno, avrebbe vinto comunque per due motivi: Il primo è la Covid19, che l’ha trasformato in un leader forte; la seconda è che il 90% delle casalinghe campane vota per lui».
Forse anche Caldoro e Fitto non sono state ottime scelte?
«“Usato non sicuro”, li definirei. Per Caldoro era addirittura la terza volta come candidato… Ma attenzione, senza il Coronavirus chissà cosa sarebbe successo. A un certo punto, prima della pandemia, sembrava che il Pd non volesse candidare De Luca, e che lui avrebbe fatto una lista da solo favorendo così la vittoria del centrodestra. La situazione è cambiata grazie al Covid».
E la Toscana?
«Giani ci deve ringraziare per il sondaggio pubblicato a fine agosto sul Sole 24 Ore. Raccontava che le cose in Toscana non erano tranquille come pensavano. La regione veniva considerata sicura e non lo era per nulla…La sua vittoria è legata al voto disgiunto. Tanti elettori della sinistra radicale e dei Cinque Stelle hanno votato Giani quando hanno capito che poteva vincere la candidata leghista. Prima pensavano “Giani vince sicuro. Voto Fattori e M5S”, poi hanno cominciato a temere la vittoria di Ceccardi e hanno cambiato idea».
Parliamo del trionfo di Zaia. La sua lista ha triplicato i voti di quelli della Lega.
«Clamoroso. Il 23 agosto ho pubblicato un sondaggio in cui davamo Zaia al 75% e la sua lista al 33%. E invece ha superato il 40%… La sua vittoria e la sconfitta di Salvini in Toscana lo accreditano come il vero rivale del leader dentro il partito.. Questo non vuole dire che Zaia sfiderà Salvini per la leadership nazionale».
C’è forse il limite di un leader regionale?
«La Covid-19 ha nazionalizzato Zaia. Nei sondaggi sulla gestione della pandemia a me risultava più popolare di Conte. Le premesse ci sono ma non lo sfiderà adesso. Salvini esce indebolito dalla competizione e anche dal referendum, dove il suo braccio destro Giorgetti ha votato no, e molti leghisti hanno votato sì. Resta il fatto che Salvini è l’uomo che ha portato la Lega dal 4% al 34%. Il punto è che Zaia rappresenta una linea alternativa: non è l’uomo della Lega nazionale, ma quello della Lega autonomista, più democristiana».
Zingaretti è il vincitore delle elezioni?
«Può tirare un sospiro di sollievo. Si è salvato: ha tenuto due regioni, ne ha persa una. Ma attenzione: Le Marche sono, dopo l’Umbria, la seconda regione della zona rossa che non è più rossa. Certo, rispetto a scenari apocalittici è andata bene. Resterà segretario del Pd almeno per un po’».
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