Referendum, per il No hanno votato il Nord e le grandi città. E metà degli elettori Pd
Il risultato era scontato e lo è apparso ancora di più alla pubblicazione degli exit poll e poi delle proiezioni. Eppure, se la battaglia tra il Sì e il No non è neppure cominciata, ci sono parecchi elementi interessanti nella consultazione referendaria che ha confermato il taglio dei membri del parlamento di Camera e Senato. Secondo l’Istituto di studi e ricerche Cattaneo, che ha elaborato un’analisi sui primi flussi elettorali, nelle grandi città gli elettori del M5s si sono dimostrati compatti sul Sì (che ha stravinto), e questo forse poteva essere prevedibile. Meno banale l’atteggiamento di chi vota Pd. Un fronte diviso tra Sì, No e astensionismo, ma dove il Sì ha convinto addirittura un elettore su due, con buona pace dei dirigenti che fantasticavano di una base dilaniata. Anche gli elettori di centro-destra hanno sostenuto la riduzione dei parlamentari, tranne quelli di Forza Italia.
Le differenze Nord-Sud e città-periferie
Un ulteriore dato interessante riguarda la frattura tra Centro-Nord e Sud: il primo ha registrato alti livelli di affluenza a differenza del Meridione. Emerge, inoltre, una difformità di voto tra i grandi centri urbani e i comuni inferiori. I secondi si sono dimostrati più a favore della riduzione dei parlamentari; il no è andato meglio al nord che al sud, meglio nelle grandi città che nei piccoli centri.
Impossibile non notare come cambi la percentuale di voto nei comuni in cui si è votato solo per il referendum e quelli in cui si è votato anche per le regionali. I numeri parlano del 63,7% di affluenza dove si votava anche per le regionali, 48,2% per quelli in cui si votava solo per il referendum. Occorre precisare, però, che le regioni nelle quali si sono tenuti sia referendum che elezioni regionali rappresentano un terzo dell’elettorato in Italia.
Cosa hanno votato gli elettori del Pd
Analizzando i flussi, sulla base del voto espresso alle europee 2019 in quattro città (Alessandria, Brescia, Napoli e Torino), 1 elettore del Pd su 2 ha votato a favore della riduzione dei parlamentari mentre la parte rimanente si è divisa tra il no e l’astensione. Il M5s ha votato compatto sì: solo una minima parte ha preferito astenersi. Anche Fratelli d’Italia e Lega si sono espressi a favore della riduzione dei parlamentari. I due terzi dell’elettorato leghista ha votato sì: solo un elettore su sei del Carroccio si è opposto alla modifica della Costituzione. Hanno votato sì anche gli elettori del partito di Giorgia Meloni. Forza Italia, invece, è il più incerto: dubbi tra il no e il non-voto. Sono stati pochi o addirittura nulli gli elettori che hanno votato sì. A Napoli, Torino e Brescia il 50% dei berlusconiani si sono rifugiati nel non-voto.
Referendum 2016 e 2020 a confronto
Infine c’è un dato che fa riflettere: le stime dei flussi di voto tra i due referendum costituzionali (referendum 2016, quello Renzi-Boschi, e quello 2020 targato M5s) mettono in evidenza che le due riforme sono state interpretate dagli elettori in modi nettamente contrapposti. Chi aveva giudicato quella del 2016 una «schiforma» ha in larga misura aderito alla riforma per la riduzione dei parlamentari. Al contrario, la maggior parte di chi aveva appoggiato il cambiamento della Costituzione voluto da Matteo Renzi ha in gran parte bocciato il taglio dei parlamentari. Chi si era astenuto quattro anni fa tendenzialmente si è nuovamente astenuto.
Foto in copertina di Vincenzo Monaco
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