Ora tocca alla legge elettorale. Dalle divisioni sulle preferenze ai malumori dei renziani: i nodi da sciogliere
Non solo il taglio dei parlamentari. La riforma costituzionale “vidimata” dal referendum del 20 e 21 settembre contiene anche una delega all’esecutivo perché siano ridisegnati i collegi elettorali. In altre parole, il governo dovrà mettere in campo un decreto legislativo da adottare entro 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge oggetto della consultazione referendaria.
Per il Colle la riforma è necessaria
A cambiare, però, dovrà essere la legge elettorale nel suo complesso, che lo stesso governo ha legato ha doppio filo al taglio dei parlamentari. Difficilmente il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, potrà soprassedere su un provvedimento che, oltre a essere stato concepito dall’esecutivo, andrebbe a rassicurare almeno in parte quei 7,5 milioni di italiani che hanno tradotto le loro perplessità in un “No” nell’urna. Per il Quirinale, adeguare il sistema elettorale al nuovo schema numerico di Senato e Camera è una necessità e nelle stanze del governo ne sono consapevoli.
M5s in pressing sulle preferenze
Alla Camera la maggioranza di governo ha trovato l’accordo di massima su una riforma che poggia sul sistema proporzionale con uno sbarramento al 5% e il diritto di tribuna per i piccoli partiti. Ma i nodi non sono stati tutti sciolti. Anzi. Resta sul tavolo, innanzitutto, il tema delle preferenze. Ieri, Giuseppe Brescia (Movimento Cinque Stelle), presidente della commissione Affari Costituzionali della Camera che ha firmato il testo della riforma elettorale, ha detto senza mezzi termini: «Ci batteremo per reintrodurre le preferenze».
Pd freddo, Italia Viva tiepida
Gli alleati di governo del Movimento Cinque Stelle, però, non sono tutti d’accordo, a partire dal Partito democratico. In casa dem, come spiega anche il Manifesto, si vorrebbe conservare la selezione dei candidati attraverso le primarie. Non è entusiasta nemmeno Italia Viva, con Matteo Renzi che di recente ha dichiarato: «Noi siamo stati sempre a favore del maggioritario e per la legge dei sindaci. Se altri vogliono il proporzionale discutiamo». Come a dire: cosa possiamo avere in cambio?
Quel 5% che non piace a LeU e renziani
Tutti gli indizi portano alla richiesta di un abbassamento della soglia di sbarramento. Anche se finora Renzi non s’è espresso apertamente sul tema, Italia Viva vede quel 5% come un obiettivo irraggiungibile, alla luce dei numeri attuali (il partito dell’ex premier si attesta intorno al 3%). E potrebbe dunque decidere di mettersi di traverso. La soglia di sbarramento al 5 non piace nemmeno a LeU, che la ritiene eccessiva. E che, non a caso, non s’è astenuta nella votazione del 10 settembre in commissione Affari costituzionali sul testo base. La soglia di sbarramento «va significativamente rivista», ha commentato a margine del voto Federico Fornaro di LeU.
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