Migranti, perché è così difficile riformare il regolamento di Dublino. LUe tra ambizioni ideali e il limite dei veti incrociati
Oggi la Commissione europea presenta il nuovo patto sull’immigrazione e l’asilo. La misura è stata a lungo rimandata, questo appuntamento inizialmente era previsto per il 30 settembre, ma il drammatico incendio che ha distrutto il campo profughi di Moria ha accelerato i tempi. Il patto sull’immigrazione è un documento programmatico che non ha forza di legge, ma è di primaria importanza nel dettare la visione e gli approcci comunitari dei prossimi cinque anni. Nelle intenzioni della Commissione però c’è una riforma del Regolamento di Dublino, la normativa che attualmente obbliga i paesi di primo ingresso ad accogliere i migranti e valutare in loco le richieste di asilo.
La promessa di Ursula
Nel suo primo discorso sullo Stato dell’Unione, la presidente Ursula von der Leyen ha detto che vuole abolire il meccanismo che negli ultimi anni ha sovraccaricato i paesi della frontiera Sud dell’Unione europea – principalmente la Grecia e l’Italia – in prima linea nell’accoglienza dei flussi provenienti dalla Turchia, dalla Libia e recentemente anche dalla Tunisia. L’idea di von der Leyen è di sostituirlo con un sistema che prevede strutture comuni per l’asilo e il rimpatrio, retto da un meccanismo di solidarietà e fiducia basato sul principio di una chiara distinzione tra chi ha diritto di rimanere e chi deve essere rimpatriato. Infine, von der Leyen ha ribadito che il salvataggio in mare è e resterà obbligatorio sempre e comunque. Al momento non ci sono bozze, ma dalle indiscrezioni si può supporre che l’intervento punterà all’introduzione di meccanismi obbligatori di redistribuzione dei richiedenti asilo, procedure accelerate per l’analisi delle domande, l’aumento degli accordi di rimpatrio, il rafforzamento del ruolo di Frontex e il coordinamento centralizzato delle operazioni di ricerca e soccorso.
La frontiera del Gruppo di Visegrad
Fin qui niente di realmente nuovo, sono idee e proposte che si sentono ogni volta che una tragedia più drammatica del solito riaccende l’attenzione sulla frontiera del Mediterraneo. Alla fine di ogni discussione sul da farsi il nodo della discordia è sempre lo stesso: il rifiuto di sistema di ripartizione obbligatorio dei migranti recuperati nel Mediterraneo. Il problema è la necessità di arrivare a una decisione unanime degli Stati membri, e il conseguente stallo dei veti incrociati. Paesi in prima linea come Italia, Malta, Grecia e Cipro spingono per un sistema di ricollocamenti obbligatori, mentre i soliti Paesi di Visegrad – Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia – riescono puntualmente a far fallire ogni tentativo di riforma. Nel mezzo Francia, Germania e gli altri Stati che a volte danno una mano e altre si tengono a distanza. Fonti diplomatiche polacche, ma anche lo stesso primo ministro Mateusz Morawiecki, già hanno fatto sapere che non sono disponibili ad accogliere rifugiati, meno che mai su base obbligatoria. Da Varsavia e Budapest ci si può aspettare che siano disposti a collaborare mandando uomini e mezzi, ma di fronte a un sistema di ripartizione obbligatorio metteranno il veto.
Il problema dell’unanimità e dei veti incrociati
Con queste premesse, la proposta di von der Leyen è destinata a incagliarsi nel nel solito vicolo cieco degli interessi contrapposti e dei veti incrociati. Un esempio l’abbiamo avuto qualche giorno fa, durante la riunione dei ministri degli esteri europei, durante la quale non si è raggiunta l’unanimità necessaria ad adottare le sanzioni annunciate (più di un mese fa) contro le autorità bielorusse vicine al presidente Alekander Lukashenko. L’unanimità è mancata perché Cipro, pur dichiarandosi favorevole, non darà via libera finché non vedrà accolta la sua richiesta di sanzioni alla Turchia per via delle rivendicazioni nel Mediterraneo orientale. Questa come le altre decisioni sono rimandate al Consiglio europeo straordinario durante il quale si cercherà di superare i limiti dell’azione comunitaria con la logica intergovernativa. Inizialmente previsto per il 24 e il 25 ottobre, è stato rinviato all’1 e 2 ottobre per via della quarantena del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, entrato in contatto con un addetto alla sua sicurezza risultato positivo al Coronavirus.
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