Le grandi assenti di queste elezioni comunali sono le sindache. Ancora una volta
I dati esatti non sono ancora noti. Mancano i nomi che arriveranno dai ballottaggi previsti nelle prossime settimane. Il risultato però è già chiaro: anche in questa tornata elettorale le grandi assenti delle amministrative sono le sindache. Al momento tra i comuni capoluogo di provincia e quelli con una popolazione superiore ai 15mila abitanti, il numero di sindache elette è quasi inesistente: due su 106 comuni al voto.
Considerando i ballottaggi, questo dato potrebbe alzarsi di qualche unità. Poco cambia, quindi, come si può capire anche dalla mappa pubblicata da Anci alla fine del 2019, in cui vengono evidenziati sulla cartina dell’Italia tutti i comuni che hanno avuto nella loro storia almeno una sindaca. Ci sono aree, come buona parte della Campania o le valli dell’Alta Lombardia, che non sono mai stata amministrate da una donna. Altre in cui questa circostanza s’è verificata di più, come la Sardegna o la Toscana.
Ci sono le eccezioni, certo. Nella provincia di Rimini il comune di Coriano è stato amministrato per sei mandati da una donna. L’ultima, Domenica Spinelli, è in carica dal 2012 ed è stata eletta con una lista civica. Nel 2012 Coriano è stato guidato da un commissario, anche lei donna. Per trovare invece un capoluogo bisogna scendere di qualche posizione e arrivare ad Alessandria, guidata per due mandati da Francesca Calvo (Lega), per uno da Mara Scagni (Ds) e per un altro ancora da Maria Rita Rossa (Pd).
Welfare, ma soprattutto tempo. Cosa manca alle donne per poter fare le sindache
Simona Lembi è presidente della Commissione Pari Opportunità per l’Anci. Consigliera comunale a Bologna, Lembi spiega che il problema principale è il tempo, fattore che è indice di squilibri ancora profondi tra uomini e donne: «Serve tempo per rappresentare gli altri. Serve tempo per raccogliere i problemi del territorio, pensare a delle soluzioni e poi metterle in pratica nelle sedi dove è possibile farlo. E questo tempo le donne non lo hanno».
L’esempio più chiaro, sicuramente è quello della maternità: «In Italia nei primi tre anni in cui si diventa genitori, sette donne su dieci si dimettono dal lavoro perchè non hanno servizi o familiari che possono aiutare». Ma il caso della maternità non è il solo: «Anche quando una donna non è madre, spesso si deve occupare dei genitori anziani. È un lavoro, un lavoro non pagato che spesso per questioni culturali viene lasciato tutto alle donne. C’è anche un’altra quesitone che si intreccia: quella economica. Tra gennaio e aprile 2020 in Emilia-Romagna sono stati persi circa 60mila posti i lavoro. 52mila erano occupati da donne».
Le percentuali di queste elezioni quindi non sono isolate. Guardando oltre l’ultima consultazione, le donne coprono il 14% dei ruoli come primo cittadino, il 28,4% come vicesindaco, il 42,9% come assessore e il 30,1% dei posti in consiglio comunale. E il problema non è solo che le donne possono contare su una rappresentanza minore: «Avere una democrazia – conclude Lembi – in cui le scelte sono prese sia da uomini che da donne vuol dire avere una democrazia più forte e cosciente dei bisogni della popolazione».
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