Coronavirus, i numeri in chiaro. Limmunologa Viola: «Ora non possiamo permetterci di aprire gli stadi»
Dopo aver incassato i complimenti dell’Oms per la gestione dell’emergenza Coronavirus, oggi l’Italia ha registrato il record di nuovi postivi da quando è finito il lockdown: +1.912 con 107.269 tamponi, qualche centinaia in meno rispetto a ieri. Secondo l’immunologa dell’Università di Padova Antonella Viola difficilmente potremmo tornare a una situazione paragonabile all’emergenza vissuta nella prima fase dell’epidemia. Ma, senza le dovute precauzioni, a distanza di poche settimane potremmo trovarci con un numero di positivi radicalmente più alto.
Siamo alle prese con una seconda ondata?
«Dipende da cosa intendiamo per seconda ondata. Se si intende qualcosa come quello che abbiamo vissuto a febbraio o marzo io francamente mi sentirei di escludere che possiamo trovarci in una situazione simile, perché siamo più preparati. Se per seconda ondata si intende che la curva sta risalendo, la risposta è sì: la curva sta effettivamente risalendo, anche se in modo lento. Se continua questo andamento nel giro di quattro settimane ci potremmo trovare con valori simili a quelli della Francia».
Ci stiamo avvicinando a quota 2mila contagi. Secondo lei la supereremo a breve?
«Tutto dipende da come come ci comportiamo. Se in questo momento allentiamo il monitoraggio e se le persone dovessero smettere di prestare attenzione, la situazione esploderebbe anche abbastanza rapidamente. Se invece cerchiamo, al contrario, di rafforzare ulteriormente i meccanismi di controllo attraverso la diagnostica, combinando sia i test rapidi sia i tamponi, la curva potrebbe arrivare a un plateau attorno ai 2mila casi. Il 14 abbiamo riaperto le scuole, questa settimana le università, quindi ci aspettiamo un aumento dei casi».
Il presidente dell’Associazione nazionale presidi (Anp) Antonello Giannelli ha detto di essere soddisfatto dei risultati raggiunti. Si sbaglia?
«A me pare che abbia retto il sistema, anche se c’è molta confusione sulle procedure. Le due problematiche principali sono la durata della quarantena quando c’è un caso di positività, perché spesso va in quarantena il professore e si blocca la didattica. E poi c’è il discorso del materiale scolastico: pare che i professori siano terrorizzati dal fatto di avere qualsiasi contatto con gli studenti. Comunque, da un punto di vista sanitario, per fare un bilancio rispetto alla riapertura delle scuole bisogna aspettare gli inizi di ottobre. Io vedo con più preoccupazione la riapertura delle università, perché gli universitari sono meno controllati e controllabili dei ragazzi. E poi si muovono persone da tanti Paesi e regioni d’Italia».
In questi giorni si è parlato anche della possibilità di permettere l’accesso agli stadi a un numero maggiore di persone. Lei è favorevole?
«Assolutamente no. Non possiamo permetterci delle riaperture, anzi, probabilmente sarebbe il caso di riflettere se non serve irrigidire qualche regola. Le aperture si fanno gradualmente e quando la curva dei contagi sta scendendo non quando sta salendo».
Però, nonostante l’aumento nell’età mediana dei positivi, le terapie intensive continuano a reggere.
«Questo è un buon dato. Salgono anche le terapie intensive e i ricoverati, ma meno lentamente dei contagi, quindi è una cosa positiva. Da un punto di vista sanitario – ovvero pressione sugli ospedali – non siamo assolutamente in emergenza. La situazione è più che tranquilla. Le terapie intensive sono libere, gli ospedali non sono affollati. Ma il punto è che vogliamo prevenire che ci sia un’emergenza sanitaria. Quindi è meglio essere cauti».
Teme che il successo avuto finora – e che ci viene riconosciuto anche dall’Oms – possa darci alla testa?
«Non credo che sia così. Abbiamo beneficiato tantissimo del lockdown pesante quest’inverno ed è per questo che siamo riusciti a star bene tutta l’estate. Ma pian piano sta tornando a circolare. L’importante è che siamo noi a seguire il virus da vicino. Non dobbiamo lasciarlo scappare come è successo quest’inverno, perché altrimenti sarebbe impossibile portare avanti le attività di tracciamento e diagnosi. Ma, ripeto, credo che non arriveremo mai ai livelli di marzo».
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