Migranti, perché i quattro Paesi del Gruppo di Visegrád sono intoccabili
Oggi la Chiesa celebra la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. Un’iniziativa che risale al 1914 e vuole dimostrare la preoccupazione per le diverse categorie di persone vulnerabili in movimento, tema d’attualità anche dopo 106 anni. La giornata arriva nella settimana in cui la Commissione europea ha presentato la proposta per modificare il Regolamento di Dublino, annunciata con toni ambiziosi e un trionfalismo francamente eccessivo rispetto al documento finale.
Il nuovo Patto sulla migrazione e l’asilo non prevede la ripartizione obbligatoria dei migranti come desiderato da Italia e Grecia. In alternativa, in base un principio di quote, i Paesi terzi potranno scegliere di accogliere o rifiutare i migranti; dovendo però occuparsi dei rimpatri dei richiedenti asilo la cui domanda è stata respinta. All’atto pratico tutta la responsabilità resta in carico ai Paesi d’ingresso. Inoltre, nella proposta non si parla delle circa cinque milioni di persone tra rifugiati e migranti economici che vivono, qui e ora, senza documenti in regola sul territorio dell’Unione europea.
Un piano affossato sul nascere
La proposta della presidente Ursula von der Leyen è così contraddittoria perché studiata con l’obiettivo di convincere i quattro Paesi del Gruppo di Visegrad (V4) – Cechia, Slovacchia, Ungheria e Polonia – ma questi l’hanno respinta categoricamente dopo un incontro ufficiale dedicato esclusivamente a loro. Il premier ungherese Viktor Orbán ha detto che «la proposta non rappresenta una svolta rispetto al passato, l’approccio di base rimane inalterato, sempre di quote imposte si tratta».
Per gli ottimisti è l’inizio di un negoziato che porterà al compromesso, ma è difficile immaginare di fare progressi insieme a Orbán e i suoi. Ironia della sorte, sono proprio i governi che usano la retorica della cristianità a fini propagandistici a rifiutare completamente il principio di solidarietà europea nei confronti dei migranti e dei rifugiati. Per i governi di Polonia e Ungheria, l’Europa deve essere assolutamente “bianca e cristiana”.
Viktor Orbán
Il
leader più longevo e rappresentativo dei V4 è il premier ungherese. Durante il
suo primo governo, dal 1998 al 2002, il giovane Orbán guidò una coalizione di
centrodestra molto apprezzata nelle cancellerie occidentali. Dopo anni di
opposizione, nel 2010 tornò al governo con una schiacciante maggioranza, e da
allora iniziò a modificare la Costituzione rimodellando il sistema politico e
mediatico intorno a lui, diventando il padrone dell’Ungheria e lo
spauracchio di Bruxelles.
Oggi oltre a essere il leader dei V4 è anche un punto di riferimento per le destre nazionaliste europee. Ciò nonostante, il premier magiaro è anche un membro importante del Partito popolare europeo e ha ottimi rapporti con la CSU bavarese, il partito gemello della CDU di Angela Merkel.
Un rapporto speciale che durante il vertice dei vertici ha permesso a Orbán di negoziare a nome dei V4 per far cadere la proposta di vincolare i fondi del Recovery Fund al rispetto dello Stato di diritto, un’altra questione che adesso rischia di rallentare l’iter di approvazione e far slittare l’erogazione della prima tranche dei fondi.
Il
Gruppo di Visegrad e i paesi dell’Est
La lista di comportamenti inaccettabili da parte dei V4 e degli altri Paesi dell’Est è lunga. Ungheria e Polonia si fanno notare di più, ma non sono i soli. La Lituania ha una visione dello Stato di diritto in linea con quella polacca (legata al passato sovietico), stessa cosa la Romania, mentre la Bulgaria è il paese più corrotto dell’Ue. Ci si chiede come mai i grandi Paesi europei accettino questo stato delle cose. La risposta è nella geopolitica.
Dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, la maggioranza dei paesi dell’Est è entrata in blocco nella NATO (1999 e 2004) e nell’Ue (2004 e 2007). Era un imperativo storico e strategico, che serviva agli statunitensi per rafforzare la supremazia militare nel continente e allontanare la Russia, e agli europei per dare più ampio respiro all’Unione. Oggi esiste anche un forum allargato a tutti i 12 paesi, la Three Seas Initiative promossa dalla Polonia nel 2015 e “benedetta” da Donald Trump nel 2017.
La
combinazione dell’integrazione europea e nordatlantica
rende molto difficile per l’Ue agire con una politica sanzionatoria.
Questo dà ai governi dell’Est un largo margine per portare avanti i propri
interessi. Grazie all’uso sapiente dei fondi strutturali, i V4 e gli altri sono
riusciti a integrarsi benissimo con l’economia dell’Ue diventando dei gioielli
nella sub-fornitura del sistema industriale europeo (in particolare tedesco).
Allo stesso tempo, portano avanti politiche energetiche funzionali alle volontà
degli Stati Uniti.
Considerando che nel prossimo futuro dell’Ue c’è una maggiore sensibilità per le questioni geopolitiche – diffidenza verso la Cina e conflittualità con la Russia – il conflitto culturale tra europei cresciuti da una parte e dall’altra della cortina di ferro è destinato a rimanere irrisolto ancora a lungo.
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