Il talk show sul nulla di Valerio Lundini è una delle cose migliori che c’è in palinsesto – L’intervista
Ad un’ora imprecisata della serata (quasi) ogni giorno, in tv, accade una cosa surreale: compare Valerio Lundini. Prima in veste di inviato, racconta la storia del ragazzo cui lo zio rubò il naso da bambino. L’atmosfera sembra quella di un’inchiesta tv. Poi, seduto su una sedia di quelle con le rotelle, nello studio televisivo, fa dono a un ospite di un cucciolo di cane abbandonato, con l’ospite che lo guarda sgranando gli occhi. Poi gela un’attrice, facendo calare l’imbarazzo tra gli operatori video. Tutto questo rimanendo serio, senza alzare il sopracciglio, senza variare mai il tono di voce.
È Lundini, che a volte si vede e a volte no, come lui stesso scrive ogni pomeriggio prima di andare in onda: «Ci si vede (forse) stasera». Se ancora non v’è capitato di approdare su Rai2 tra i programmi di prima e seconda serata, allora dovete. Alcuni giorni, ma altri no, vi si parerà davanti Una pezza di Lundini, il programma con cui riempire il vuoto cosmico tra un talk e un approfondimento politico del Tg. Un programma finto, ma vero. La parodia della tv generalista, ma che fa pure il verso a quei contenitori cosiddetti “impegnati”.
Lui è la beffa dei meccanismi televisivi, di quello che durante le dirette non funziona, dei silenzi che riempiono il nulla che c’è. Mezz’ora di sketch, uno dietro l’altro in perfetto equilibrio, tanto da non riuscire a distinguere quando ne finisce uno e quando comincia quello dopo. Più lo si guarda e più non ci si crede da quanto è assurdo.
Valerio, come è arrivata questa idea?
«Volevo fare una cosa nuova, sulla falsa riga di quella che era stata la mia esperienza al DopoFestival di quest’anno. A me la risata citofonata non piace. Quella roba lì, costruita a tavolino, sta stretta. Non sono uno che puoi mettere su un palco e dirgli “Ora facci ridere”. Non è il mio. Non sarei proprio in grado. Così ho iniziato a buttare giù idee per questo programma, ma non sapevo se qualcuno avrebbe apprezzato e capito cosa intendevo fare».
Perché, cosa volevi fare?
«Volevo fosse una cosa surreale. Sono per quel tipo di comicità seria ma strana. Quella comicità fatta anche di silenzi, che non sono tempi morti, sono tempi comici. Per questo ero titubante sul fatto che potesse essere apprezzato da qualcuno».
Un mondo un po’ alla Mel Brooks…
«Sì. Non sono il tipo che scimmiotta comici come Lino Banfi: quel genere lì mi imbarazza».
E ti diverte?
«Da morire, perché faccio una cosa che mi piace, una cosa mia. Potrei farlo anche allo stadio di Wimbledon: sarei a mio agio. Chiedimi invece di fare un monologo forzando la battuta, sarei in difficoltà pure al bar sotto casa».
Bisogna riconoscere un certo successo al programma…
«Piace, finora solo pareri positivi. La cosa me puzza. Quello che più mi sconvolge è che c’è chi pensa io sia proprio così».
Non può essere.
«Quando sono andato in onda con il pezzo sul “furto del naso”, ho letto di gente che ha scritto: “Secondo me non è vero”, commentando seriamente quella roba. Per me, quindi, obiettivo raggiunto: mi vedono come dispensatore di fake news. Cose dell’altro mondo».
Cosa non ti fa ridere?
«Chi vuole fare comicità ragionando su “cosa farà ridere gli altri?”. Il più delle volte non ci si riesce. Io ragiono all’opposto: penso sempre a cosa faccia ridere me, gli altri saranno al massimo una conseguenza. Ma non solo…».
Che altro?
«Chi usa i cliché: Facebook, Tinder hanno stufato, non fanno ridere le battute sul mondo dei social. Un po’ va bene poi basta. A me interessa di più se mi fai una battuta sulle fotocopiatrici, perché sono curioso di capire cosa ti inventi per crearci sopra una battuta».
E con la satira politica che rapporto c’è?
«Non la faccio perché non mi ritengo abbastanza informato per farla. Poi vedo chi la fa e penso che non puoi battere sempre e solo sul tasto di Salvini perché prima o poi quello ti fa scacco matto. Così come abbiamo fatto satira per 20 anni su Berlusconi, ‘na noia…».
Continuerai su questa strada?
«Finché non m’annoio, sì».
Al referendum hai votato?
«Ho votato. Non ero così informato, ho cercato di rimediare e sono andato a votare. ‘Na tristezza al seggio…»
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