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La palude del Recovery Fund: la proposta tedesca non risolve lo stallo. E gli aiuti rischiano di slittare

30 Settembre 2020 - 19:05 Federico Bosco
Il programma Next Generation è ostaggio delle trattative sul bilancio pluriennale. Il tentativo di mediazione di Berlino avvia la discussione nel Parlamento europeo, ma la schiarita è lontana. E l’ipotesi di un ritardo nell’erogazione dei fondi si fa sempre più concreta

Lo sfrenato ottimismo sulle prospettive dell’Unione europea dopo lo storico accordo raggiunto a luglio con il Next Generation Eu (Ngeu) è svanito all’improvviso. Il vertice dei vertici aveva sorpreso la maggior parte degli osservatori, raggiungere l’accordo con un solo Consiglio europeo fu un risultato che andò contro le previsioni. Parafrasando il famoso proverbio, però, il diavolo era proprio nei dettagli. Durante il vertice le regole sulla governance del Ngeu non furono chiarite fino in fondo, e adesso c’è il rischio concreto di far ritardare i trasferimenti tanto attesi del Recovery Fund.

Il freno d’emergenza

Nel vertice di luglio ci si concentrò molto sul “freno d’emergenza” (backstop) caro al gruppo dei Paesi frugali (Paesi Bassi, Austria, Danimarca, Svezia), che in qualità di contributori netti Bilancio pluriennale (Mff) e del Ngeu volevano uno strumento per controllare, ed eventualmente bloccare, l’uso corretto dei fondi nei paesi beneficiari – in primis quelli del Sud, quindi l’Italia, ma anche Francia, Spagna, Grecia e Portogallo. La questione fu risolta con un meccanismo efficace ma limitato, che permette il controllo ma impedisce a un singolo paese di bloccare l’erogazione senza una discussione in Consiglio europeo.

Il nodo dello stato di diritto

Un negoziato che ricevette meno attenzione invece fu quello sull’introduzione di un meccanismo per vincolare l’erogazione dei fondi al rispetto dello stato di diritto. In questo caso gli osservati speciali erano Ungheria e Polonia, insieme ad altri Paesi dell’Est e del Gruppo di Visegrad (V4) che in forma minore si macchiano di violazioni che vanno dalla repressione della libertà di stampa al controllo autoritario del governo sulla magistratura.

La questione fu risolta con l’introduzione di un meccanismo blando, sostanzialmente di facciata, e addirittura la promessa della cancelliera tedesca Angela Merkel al premier ungherese Viktor Orban di far cadere ogni azione sanzionatoria nei confronti di Budapest e Varsavia. Questa decisione in particolare ha lasciato profondamente scontento il Parlamento europeo, molto sensibile al tema delle violazioni dei principi europei da parte dei governi ungherese e polacco.

La fine della tregua estiva

A due mesi dall’accordo, la questione è tornata sul tavolo. In questi giorni sono ricominciate le trattative tra la presidenza del Consiglio europeo e l’Europarlamento sul Mff e il Ngeu, con le parti sempre più nervose. Adesso il rischio concreto è di rallentare la tabella di marcia per l’approvazione di tutto il pacchetto, facendo slittare l’erogazione dei fondi alla seconda metà del 2021 (invece che nei primi mesi). Il caso è esploso nella riunione degli ambasciatori (Coreper) di venerdì scorso, dove Ungheria e Polonia hanno rifiutato di dare il via libera a uno dei processi di ratifica da cui dipende il Ngeu, una decisione che è la reazione alla richiesta degli europarlamentari dell’introduzione di un meccanismo più severo per il controllo sul rispetto dello stato di diritto.

La proposta tedesca e il fronte olandese

ANSA | Giuseppe Conte e Angela Merkel

A sedare la contesa è arrivata la presidenza tedesca, che ha tentato di superare lo stallo presentando un progetto con un meccanismo nuovo ma altrettanto inefficace, in linea con i desiderata di Budapest e Varsavia. Oggi nella nuova Coreper la proposta tedesca è passata a maggioranza qualificata, perciò sarà discussa nel Parlamento europeo, ma a votare contro sono stati Paesi Bassi, Finlandia, Danimarca, Austria, Belgio e Lussemburgo, più l’Ungheria e la Polonia. I primi perché la ritengono ancora troppo leggera, i secondi perché troppo severa. Il compromesso raggiunto avvia la discussione nel Parlamento europeo, ma non risolve lo stallo.

Vista la determinazione degli schieramenti in campo non bisogna aspettarsi una svolta immediata. La nuova proposta può andare bene ai paesi dell’Est, ma non agli europarlamentari che vogliono una linea dura. A luglio il premier olandese Mark Rutte fu il grande protagonista del negoziato, adesso torna ad esserlo perché sembra proprio che gli olandesi siano intenzionati ad andare fino in fondo, anche bloccando il Ngeu nella parte che necessita della ratifica nei parlamenti nazionali.

Come può andare a finire

La situazione è intricata, ma non bisogna mai sottovalutare la capacità dell’Ue di raggiungere un compromesso. Il problema però è che ci vorrà de tempo, e ogni ritardo ha un costo. La proposta tedesca è stata accolta, ma è solo una bozza, al Parlamento europeo non piacerà e cercherà di fare delle modifiche per poterla presentare come un successo negoziale dell’assemblea.

Lo scenario più realistico è un ritardo nel Mff e quindi nel Ngeu. Se invece lo stallo dovesse persistere, il ritardo sarebbe maggiore e il costo politico ed economico diventerebbe molto più alto, ma è difficile pensare che il Parlamento europeo sia disposto ad arrivare a tanto causando una reazione in tutti i paesi coinvolti, a partire dall’Italia. Per adesso però una cosa è sicura: il negoziato iniziato a luglio non è ancora finito.

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