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Coronavirus. Il Sars-Cov-2 creato in laboratorio? Perché Salvini e i media italiani sbagliano a sostenere Li-Meng Yang

01 Ottobre 2020 - 13:18 David Puente
Nonostante la bocciatura da parte degli scienziati, si parla ancora del cosiddetto «Yan Report» e delle non prove fornite dalla virologa di Hong Kong

L’infodemia, ossia la circolazione di informazioni in maniera eccessiva e senza che ne sia stata controllata la veridicità, ha generato confusione e sfiducia nel mondo dell’informazione – e non solo – durante questa la pandemia Covid-19. La fretta, la voglia di uscire per primi, la voglia di pubblicare qualcosa di estremamente eccezionale per battere la concorrenza, ha ottenuto come risultato una dose massiccia di disinformazione dannosa per la nostra società e per l’interesse della salute pubblica in questo 2020.

Ad alimentare il problema sono stati anche i politici, come possiamo vedere nell’esempio di mercoledì 30 settembre, con il post della pagina Facebook di Matteo Salvini che ha rilanciato – insieme all’hashtag #vociitaliane – le parole della virologa di Hong Kong Li-Meng Yan di cui abbiamo parlato in due precedenti articoli riguardo alla sua «teoria del Sars-Cov-2 creato in laboratorio».

Lo staff di Salvini ha scelto come fonte un’intervista rilasciata a TgCom24 da Li-Meng Yan (o Yan Limeng) e trasmessa durante il programma televisivo Quarta Repubblica di Nicola Porro, un intervento puramente politico e non scientifico. L’intervistatrice le fa presente che gli scienziati reputano il suo report come non valido, la risposta risulta essere ancora una volta di tipo politico e per giunta con qualche falla che andremo a spiegare a breve: «Lavoro nel mio campo da anni e sono ai vertici della ricerca e so come funzionano le cose».

Per chi ha fretta

Dobbiamo parlare, ancora, di un documento che gli stessi autori si rifiutano di far passare attraverso la peer review di una rivista scientifica che si rispetti. Chiunque potrebbe, sfruttando anche la sua laurea in medicina, farmacia o in matematica (come è accaduto) pubblicare online un documento o far stampare un libro che faccia pensare al virus creato in laboratorio. Comunque sia, proviamo a fare una sintesi attraverso la cronologia degli eventi:

  • 2015 – Li-Meng Yan inizia la sua attività come borsista post-dottorato presso l’Università di Hong Kong.
  • 2018 – Firma il suo primo documento scientifico insieme a molti altri colleghi della sua università. La sua firma è presente in altri 4 studi dal 2018 al 2020, un po’ troppo pochi per chi si troverebbe al «vertice della ricerca».
  • 30 dicembre 2019 – Li Wenliang, il medico eroe cinese, denuncia la presenza di un virus che si trasmette da uomo a uomo.
  • 31 dicembre 2019 – Li-Meng Yan viene a conoscenza delle voci circolate grazie a Li Wenliang.
  • 3 gennaio 2020 – Li Wenliang viene arrestato insieme ad altre 7 persone, tutte accusate di aver diffuso notizie false su un virus che si trasmette da uomo a uomo a Wuhan.
  • 16 gennaio 2020 – Li-Meng Yan racconta al suo supervisore di essere a conoscenza, tramite amici, della trasmissibilità del virus da uomo a uomo, ma le sarebbe stato consigliato il silenzio. Nel frattempo racconta tutto a un blogger che vive negli Stati Uniti.
  • 20 gennaio 2020 – La Cina ammette la trasmissibilità del virus da uomo a uomo.
  • Aprile 2020 – Il marito e collega di Li-Meng Yan scopre che lei aveva fornito informazioni all’estero (quelle raccontate anche ai suoi supervisori sulla trasmissibilità del virus) al blogger residente negli Stati Uniti. Si arrabbia con lei e non accetta di scappare insieme a Los Angeles.
  • 28 aprile 2020 – Li-Meng Yan parte da sola verso gli Stati Uniti, dove si presenta all’FBI come fuggitiva dal Governo cinese. Come prova mostra i contenuti delle sue comunicazioni con amici e colleghi all’epoca dei fatti.
  • 10 luglio 2020 – Li-Meng Yan viene intervistata da Fox News, dove parla ancora della vicenda della trasmissibilità.
  • 11 settembre 2020 – Inizia a sostenere la teoria del virus creato in laboratorio e di averne le prove, che sarebbero state poi pubblicate in un report insieme ad altri scienziati.
  • 14 settembre 2020 – Li-Meng Yan pubblica il report su un sito internet, ma questo viene letteralmente bocciato dalla comunità scientifica in quanto lacunoso e riportante informazioni già note che non provano alcunché.

Abbiamo, dunque, una ex borsista post-dottorato che nell’arco della sua carriera presso l’Università di Hong Kong ha fatto ben poco per potersi considerare «ai vertici della ricerca». Al massimo operava nelle stesse strutture di chi da anni ai vertici ci stava davvero, come uno dei suoi docenti che nel 2003 aveva isolato il virus della Sars. Fuggita negli Stati Uniti, propone pubblicamente a settembre la narrativa del virus creato in laboratorio pubblicando un report antiscientifico con l’aiuto di Bannon per la campagna politica anti-Cina in vista delle elezioni americane.

Il «marchese del Grillo» made in Hong Kong

Torniamo all’intervista rilasciata a Quarta Repubblica dove Li-Meng Yan risponde in merito alla bocciatura del suo report:

Maria Luisa Rossi: «Molti scienziati reputano che il suo studio in realtà non sia del tutto attendibile, sto parlando di scienziati importanti, di riviste internazionali importanti. Che cosa risponde?»

Li-Meng Yan: «Lavoro nel mio campo da anni e sono ai vertici della ricerca e so come funzionano le cose. Questi scienziati distorcono la mia ricerca che ho pubblicato online e dubitano di quello che ho detto, ma io ho mostrato tutto con grande chiarezza, soprattutto che non hanno letto attentamente i miei studi e si fidano di quello che viene filtrato loro da altri scienziati, ma io sono stata chiara e presto pubblicherò un altro rapporto»

Da parte di Li-Meng Yan c’è l’intenzione di mantenere alta l’attenzione sulla sua persona e sulla narrativa anti-cinese, dettata anche dagli interessi politici dei suoi stessi sostenitori soprattutto in vista delle prossime elezioni americane, annunciando un secondo report per dare forza al primo risultato fallace. Nella sua risposta, però, vuole imporre un’autorevolezza personale improntata su una sorta di «Io sono io» che ricorda un po’ il marchese del Grillo: «Sono ai vertici della ricerca». Qualcuno la conosceva a livello internazionale prima di questa sua presa di posizione sul virus? Vediamo.

Partiamo dalla «base». Nell’archivio di Mendeley leggiamo che operava come «Post-doc Fellow» – ossia come borsista post-dottorato – presso la University of Hong Kong School of Public Health da aprile 2015, almeno fino al 28 aprile 2020 quando sostiene di essere scappata da Hong Kong. A seguito delle dichiarazioni controverse dell’ex borsista, l’Università di Hong Kong aveva diffuso un comunicato dove prendeva le distanze e affermando che la stessa non stava conducendo studi sul nuovo Coronavirus a dicembre 2019 e gennaio 2020, come da lei dichiarato.

Il comunicato dell’Università di Hong Kong su Li-Meng Yan

Una ricercatrice o scienziata «di fama» o comunque «ai vertici» dovrebbe aver quantomeno pubblicato qualcosa di rilevante. Ricordiamo l’articolo del direttore de Il Tempo Franco Bechis, il quale pubblicò un elenco degli esperti italiani messi a confronto con Anthony Fauci definendoli «i più scarsi al mondo» per il loro h-index. In fondo alla classifica c’era Giulio Tarro con un punteggio di 10 contro i 174 di Fauci. Li-Meng Yan? Su Scopus.com troviamo un h-index pari a 3, neanche un terzo di quello ottenuto da Tarro.

Il profilo di Li-Meng Yan su Scopus.com dove viene riportato il suo h-index

Certo, avevamo spiegato in un articolo precedente che non ci si può basare soltanto sull’h-index se non è contestualizzato. Per esempio, Luc Montagnier, vincitore di un Nobel, ha sostenuto diverse pubblicazioni pseudoscientifiche eppure ha un h-index pari a 71 grazie alle sue pubblicazioni e al numero di citazioni ricevute che potrebbero essere di vario genere, pro o contro.

Li-Meng Yan, tuttavia, rimane a 3 sostenendo di essere però «ai vertici della ricerca» con una sola pubblicazione come prima firmataria fatta nel 2018 e in una rivista Open Access di nome Virology. Una pubblicazione co-firmata con alcuni suoi colleghi dell’Università di Hong Kong, come Sophie Valkenburg e Ranawaka A.P.M Perera, ma le firme più autorevoli sono i due docenti dell’Università come il Prof. Joseph S.M. Peiris e il Prof. Leo L.M. Poon. Tutto qui? No!

Gli studi o articoli dove risulta una sua firma sono cinque dal 2018 ad oggi, un po’ pochi se consideriamo che il suo docente Peiris ne conta come minimo 23 all’anno dal 2015 ad oggi. Due sono stati pubblicati su altrettante riviste scientifiche peer review di alto livello, ossia Nature (maggio 2020) e Lancet (marzo 2020) entrambi sulla Covid-19 e il Sars-Cov-2. Basta questo per sostenere di essere ai «vertici della ricerca»? Molto difficile, anche perché non è nemmeno prima firmataria.

La narrativa del complotto

In questi giorni si sta parlando del cosiddetto «Yan Report», un presunto studio con il quale si vorrebbe dimostrare che il Sars-Cov-2 è stato creato in laboratorio. Un documento che non vedrete pubblicato in una rivista scientifica seria, ma forse neanche in una delle tante predatorie, perché altrimenti cadrebbe il castello di carta che sostiene l’intera narrativa complottista della «censura peer review» presentata nello stesso report:

The alternative theory that the virus may have come from a research laboratory is, however, strictly censored on peer-reviewed scientific journals.

L’abstract del cosiddetto «Yan Report» dove viene presentata la narrativa della «censura peer review» da parte delle riviste scientifiche

Il report parte già male, qualunque ricerca o studio scientifico che si rispetti deve essere valutato da pari attraverso una seria peer review. Questa, però, non viene accettata dalla stessa autrice del documento e dai co-firmatari per un presunto complotto planetario contro le «voci alternative» o «dissidenti».

A seguito della pubblicazione del documento molti scienziati hanno valutato il lavoro, incuriositi dallo scoprire qualche sorta di prova a sostegno della tesi, capace eventualmente di ribaltare quanto detto in precedenza e pubblicato in prestigiose riviste scientifiche dove in altre occasioni avevano sbagliato.

Li-Meng Yan ospite di “War Room Pandemic“, talk di Steve Bannon

Avendo ottenuto una bocciatura non possiamo pensare a una Li-Meng Yan che si ritenga sconfitta, qualunque fosse stata la risposta avrebbe rigirato tutto a suo favore: se confermavano il suo lavoro aveva ragione, se lo stracciavano allora aveva ragione sulla tesi complottista della fantomatica «censura peer review».

In entrambi i casi, a rilanciare il tutto sarebbero i suoi sponsor politici: Steve Bannon, lo spin doctor noto per aver contribuito alle campagne di propaganda di Donald Trump, e il miliardario cinese Guo Wengui, fuggito negli Stati Uniti e accusato dalle autorità di Pechino di corruzione e altri reati, due persone che non hanno mai nascosto la loro propaganda anti cinese.

Un altro elemento interessante è come accetti o meno di fornire la sua versione dei fatti. Se da una parte accetta interviste e rilascia dichiarazioni a media che non la contraddicono, dall’altra – nel caso in cui viene contattata da riviste come National Geographic – non c’è nulla da fare:

Enter the Yan report. On September 14, an article was posted to Zenodo, an open-access site for sharing research papers, which claimed that genetic evidence showed that the SARS-CoV-2 coronavirus was made in a lab, rather than emerging through natural spillover from animals. The 26-page paper, led by Chinese virologist Li-Meng Yan, a postdoctoral researcher who left Hong Kong University, has not undergone peer review and asserts that this evidence of genetic engineering has been “censored” in the scientific journals. (National Geographic contacted Yan and the report’s three other authors for comment but received no reply.)

I perché della fuga

C’è una curiosità in tutta questa vicenda. Partiamo dall’intervista rilasciata a Fox News, quella che il 10 luglio 2020 l’aveva fatta conoscere al mondo come la «virologa scappata dalle autorità cinesi»: da nessuna parte si parla di «virus creato in laboratorio», ma solo di accuse di insabbiamento avvenute durante il mese di dicembre 2019 e gennaio 2020.

Secondo il racconto fornito a Fox News, intorno al 31 dicembre 2019 Li-Meng Yan avrebbe appreso della trasmissibilità del nuovo virus da uomo a uomo grazie a una soffiata di un collega in Cina. Il 16 gennaio avrebbe informato il Prof. Leo Poon, il suo supervisore, delle «sue scoperte» in merito alla trasmissibilità, successivamente avrebbe fatto lo stesso con il suo docente Malik Peiris, noto per aver isolato nel suo laboratorio il virus della SARS. La risposta sarebbe stata la stessa: «Taci, altrimenti finiamo nei guai».

Li Wenliang, il medico eroe che aveva lanciato l’allarme

Leggendo attentamente le date si comprendono le fonti – ne parlavo in un articolo del 24 gennaio – e il perché risulta estremamente evidente il consiglio dato dai suoi superiori. Infatti, il 3 gennaio 2020 un articolo della BBC aveva diffuso la notizia dell’arresto di 8 persone in Cina accusate di aver diffuso «notizie false» su un virus in circolazione a Wuhan. In realtà avevano detto la verità: tra di loro c’era Li Wenliang, il medico eroe che aveva lanciato l’allarme il 30 dicembre 2020 e che è deceduto a causa del virus il 6 febbraio 2020.

Li Wenliang aveva lanciato l’allarme il 30 dicembre 2020, il giorno dopo Li-Meng Yan apprende le informazioni già diffuse dal medico di Wuhan

Li-Meng Yan era entrata in comunicazione con un blogger di Hong Kong residente negli Stati Uniti, Lu Deh, con il quale aveva condiviso le informazioni che ricavava dai suoi colleghi e nel periodo precedente all’ammissione da parte di Pechino della presenza del virus e della sua diffusione da uomo a uomo. Passano i mesi, finché ad aprile il marito di Li-Meng Yan – che lavorava insieme a lei – avrebbe scoperto che la moglie aveva diffuso informazioni all’estero.

Il matrimonio di Li-Meng Yan

A Fox News racconta che il marito, una volta scoperte le telefonate con il blogger, si sarebbe arrabbiato accusandola di aver tradito la sua fiducia e dei rischi che potevano correre con questa storia. Solo a quel punto Li-Meng Yan avrebbe proposto al marito di scappare negli Stati Uniti, proprio dove si trovava l’amico blogger, ma niente da fare: il 28 aprile 2020 pomeriggio prese un volo per Los Angeles, da sola.

Il documento con la quale riporta di aver fornito il suo cellulare all’FBI

Giunta a destinazione, sarebbe stata fermata dai funzionari della dogana americana e per non essere rispedita indietro raccontò di essere in fuga da Pechino per via di quello che aveva scoperto all’epoca sul virus e della sua diffusione, mostrando all’FBI le chat e le comunicazioni con colleghi e amici. La lasciarono proseguire, permettendole di rimanere negli Stati Uniti per poi scoprire – secondo quanto racconta – che la sua famiglia l’aveva informata della perquisizione della sua abitazione da parte delle autorità cinesi e successivamente della cancellazione dei suoi profili presso l’Università di Hong Kong.

La «non scoperta» sviluppata in un secondo momento

I media americani come Fox News vedevano in lei una conferma di quanto si era stato scoperto grazie all’ormai defunto Li Wenliang, ma dall’intervista di Fox News del 10 luglio a quella di ITV dell’11 settembre cambia qualcosa: Li-Meng Yan inizia a sostenere pubblicamente la teoria del virus creato in laboratorio.

Screenshot dell’intervista rilasciata dall’ex borsista post-dottorato di Hong Kong a Fox News il 15 settembre 2020. Fonte Politicfact.com

Il 15 settembre interviene come ospite del programma di Fox News condotto da Tucker Carlson, già noto per la sua disinformazione in merito a delle dichiarazioni dell’OMS, dove lo stesso ammetteva di non avere le basi necessarie per poterle fare le domande giuste sulla sua fantomatica scoperta pubblicata il giorno prima su Zenodo, un sito che non ha nulla a che vedere con una rivista scientifica peer review.

Il documento pubblicato il 14 settembre 2020 su Zenodo

Nell’intervista rilasciata a ITV l’ex borsista post-dottorato aveva raccontato di avere le prove in mano da gennaio 2020, ma che non poteva pubblicarle all’epoca perché avrebbe rischiato la vita. Nel frattempo, il 17 marzo 2020 interviene Nature con un articolo dove si confuta completamente l’idea del virus manipolato in laboratorio. Il documento diffuso da Li-Meng Yan venne revisionato da quattro autori della Johns Hopkins che lo bocciarono del tutto, e non solo loro.

La revisione del documento di Li-Meng Yan da parte degli esperti della Johns Hopkins

Rendiamoci conto che si parla di un documento revisionato da esperti che si sono dovuti trovare tra le referenze fonti come «Nerd has Power», un sito amatoriale su Weebly.com che ospita dal 15 marzo 2020 un articolo dal titolo «Scientific evidence and logic behind the claim that the Wuhan coronavirus is man-made».

Da notare la pagina About del sito dove leggiamo «A nobody scientist».

Li-Meng Yan non è la prima a sostenere, attraverso pseudostudi, la teoria del virus creato in laboratorio. Consideriamo che l’Institut Pasteur dovette difendersi dalle accuse di aver diffuso il virus o di averlo addirittura creato, spiegando che non era stato nemmeno generato dal virus dell’HIV come sostenuto da un loro ex collega diventato noto per le sue teorie cospirazioniste e pseudoscientifiche: Luc Montagnier. Insomma, siamo passati dalle ciarlatanerie di un Premio Nobel a una borsista.

La «teoria del 50:50»

In questo periodo è sorta un’altra narrativa per sostenere la possibilità della creazione del virus in laboratorio. Durante una trasmissione Presa Diretta, in onda su Rai3, il giornalista e divulgatore scientifico britannico Matt Rudley non si sbilanciava per la creazione e l’origine animale dando come «giusta considerazione» una possibilità del 50:50. Il problema che si potrebbe contestare al servizio completo è lo sbilanciamento verso un dubbio non provato, con solo supposizioni, mettendo all’angolo la pubblicazioni scientifiche che riportano segnali dell’origine zoonotica e naturale del virus. In questo caso ci troviamo una bilancia con un piatto colmo e con un piatto «pieno d’aria».

Conclusioni

«La Cina non è una santa» e lo si sa molto bene. Dall’arresto con l’accusa di fake news verso medici e persone informate sui fatti, alle mancate comunicazioni verso l’estero durante l’iniziale diffusione del virus, le colpe sono e restano gravi.

Nel corso del tempo si sono formate diverse narrative sull’origine del Sars-Cov-2, dove in alcuni casi si accusano i francesi o gli americani di averlo introdotto in Cina, per altri invece sarebbe stato creato e diffuso in Cina appositamente per scatenare la pandemia. La comunità scientifica fino ad oggi ha escluso l’origine del virus in laboratorio, confermando continuamente l’origine zoonotica come avvenuto in passato per altri virus.

Il genoma del Sars-Cov-2 non è un segreto, è stato isolato e viene studiato in tutto il mondo, ma fino ad oggi nessuno ha mostrato uno stralcio di prova concreto per sostenere minimamente la presunta origine in laboratorio. Non c’è riuscita nemmeno la borsista Li-Meng Yan attraverso il suo «primo report», intriso di conflitti d’interesse e politica.

Infine, risulta inutile paragonare i vari Luc Montagnier o Li-Meng Yan a un Galileo Galilei per sostenere l’esistenza di luminari incompresi e sbeffeggiati dalla comunità scientifica del periodo: è il metodo scientifico introdotto dallo stesso Galilei che boccia Montagnier e Li-Meng Yan.

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