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Coronavirus. Quanto è rilevante la produzione dei vaccini nello sterminio già esistente degli squali?

01 Ottobre 2020 - 18:19 Juanne Pili
Cosa sappiamo sullo squalene e la sua utilità nei vaccini. Davvero uccideremo molti più squali del solito nel produrli?

Secondo il WWF gli squali uccisi da noi ammontano in media a 100 milioni l’anno, mentre sappiamo che gli animalisti sono preoccupati del fatto che teoricamente servirebbero 500mila squali per coprire il fabbisogno di squalene destinato ai vaccini contro il nuovo Coronavirus. Oggi questa sostanza si ricava in maniera efficiente dall’olio ottenuto nel fegato di questi pesci. Lo squalene di sintesi o ricavato dai vegetali esiste, ma al momento i costi sono relativamente proibitivi, rispetto a quello ottenuto dalla pesca degli squali.

Il termine squalene, elencato tra i vari adiuvanti per la produzione di vaccini, non è nuovo a chi come noi da tempo si è occupato di fake news in ambito No vax. I falsi miti su questa sostanza dal nome piuttosto evocativo circolano spesso, collegati a presunti eventi avversi. Eppure già l’ISS (Istituto superiore di sanità) aveva prodotto una breve nota dove spiegava che si tratta di un prodotto naturale, che non pregiudica la sicurezza dei vaccini.

Questa news che pone l’accento sulle modalità – più o meno oscure – con cui otteniamo questo adiuvante, sembrano comunicare l’esistenza di un mercato del tutto nuovo, dove gli squali verrebbero ulteriormente decimati, mentre in realtà esiste già da tempo, soprattutto a scopi alimentari e in buona parte nella produzione di cosmetici.

Nel contorno abbiamo ancora scarsa trasparenza, sia nel definire i confini legali della pesca degli squali, sia nel comunicare nelle etichette dei prodotti, se lo squalene contenuto proviene dagli squali o da altre fonti, vegetali o di sintesi. Cerchiamo di fare chiarezza, nei limiti delle poche fonti disponibili.

Cos’è un adiuvante?

Nei vaccini è fondamentale riprodurre una sorta di “infezione fittizia”, usando per esempio i soli antigeni di un determinato virus. Tali proteine vengono riconosciute dal Sistema immunitario che si attrezza per immunizzarci. Semplificando, l’adiuvante è generalmente una sostanza, che assieme a un antigene ne aumenta la suscettibilità a produrre una risposta immunitaria da parte dell’Organismo.

«In ambito immunologico – spiegano gli autori di Humanitas – un adiuvante (come l’idrossido di alluminio) viene aggiunto a un vaccino per stimolare la risposta degli anticorpi e delle cellule, sostenendo così le molecole dei vaccini che da sole non sarebbero sufficienti».

Un mercato già esistente

Al netto degli squali uccisi accidentalmente (si suppone relativamente molto pochi), resta l’ampio mercato – più o meno legale a seconda dei Paesi in cui avviene – del cosiddetto Shark finning, ovvero la mattanza degli squali allo scopo di estrarne le pinne, dopo di che questi pesci verrebbero rigettati agonizzanti in mare. Le pinne sono ritenute una prelibatezza in diverse cucine del mondo e nella produzione di vari alimenti commerciali. Ma a quanto pare una fetta del mercato riguarda anche lo squalene, che si ricava principalmente dai loro fegati. 

Stando al report FAO pubblicato nel 2015 sullo Stato del mercato globale per i prodotti di squalo, vi sono paesi come l’India dove questa mattanza finalizzata alla produzione di squalene, sarebbe due volte più redditizia della mera caccia per ricavare le pinne, destinate nelle cucine di tutto il mondo. Non solo per i vaccini, ma anche in buona parte nella produzione di cosmetici.

FAO, 2015 | Tabella del Report sul mercato globale sui prodotti ricavati dagli squali.

Dalle fonti indiane si evince quanto segue:

«Le esportazioni di squalene dai fegati di squalo di acque profonde erano due volte più preziosi delle esportazioni di carne di squalo (K.V. Akhilesh, comunicazione personale, dicembre 2013) … I futuri aumenti degli sbarchi di squali interi potrebbero favorire un maggiore utilizzo del fegato di squalo». 

Da fonti risalenti al 2013 vi sarebbe traccia di un mercato – meno fiorente – in Nuova Zelanda:

«Un trasformatore di olio di pesce con sede in Nuova Zelanda produce squalene, diacilglicerolo etere e acidi grassi omega-3 dall’olio di fegato di squalo, ma afferma che le forniture locali sono insufficienti per soddisfare la domanda. Pertanto, la società riferisce che deve importare materie prime da Senegal, India e Indonesia. L’NPOA riferisce che l’1% della produzione di catture di squali della Nuova Zelanda viene utilizzata per prodotti a base di fegato e / o olio di fegato (Carson, 2013)».

Altre fonti e impieghi dello squalene

Lo squalene non è pregiato solo come adiuvante nei vaccini, ma – come accennavamo – anche come ingrediente in diversi prodotti cosmetici. Rimandiamo per questo tema altrettanto sconosciuto, all’analisi del divulgatore Willy Guasti (ZooSparkle), che si basa in parte ai report dell’Associazione Bloom:

Al momento sembrerebbe molto più efficiente ottenere lo squalene dal fegato degli squali, non di meno, questa sostanza può essere ricavata anche altrove; non è da escludere che in futuro si riesca a ottenere metodi altrettanto efficienti per estrarre lo squalene dai vegetali o riuscire a sintetizzarlo a livello industriale a costi contenuti.

Tre quesiti ancora aperti 

Molti dati restano ancora difficili da chiarire, perché in larga parte questo mercato resta sommerso, e non sono ben chiari i confini legali. Sappiamo però ch’è potenzialmente molto redditizio. Nel 2012 una tonnellata di olio di fegato di squalo (da cui si ottiene lo squalene) si aggirava tra i 12mila e 15mila dollari, a seconda della quantità della sostanza ricavabile. Così nel mercato, lo squalene in sé poteva arrivare anche a 35mila dollari per tonnellata.

In questo gioca sempre più un ruolo anche la possibilità di utilizzare squalene ricavato dai vegetali, nel mercato dei cosmetici. Oggi però non esistono normative chiare che permettono di distinguere l’origine della sostanza, nei prodotti che troviamo nei supermercati. È disarmante che queste cose si siano pensate solo per sostanze come l’olio di palma, adducendo presunti effetti nocivi mai dimostrati, e che penalizzano davvero ingiustificatamente i prodotti concorrenti.

Restano quindi tre domande aperte:

  • 1. quanto è rilevante l’informazione, alla luce di un mercato già esistente, che coinvolgerebbe decine di milioni di squali, uccisi per motivi relativamente futili?
  • 2. questi ipotetici 500mila squali necessari a produrre lo squalene, vanno conteggiati in più rispetto alla norma, o sono già inclusi nel mercato esistente?
  • 3. come mai non riusciamo a fare leggi apposite per distinguere nelle etichette dei cosmetici, quelli con squalene proveniente da altre fonti?

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