Eutanasia, Cappato: «Il ricorso del pm? Colpa del vuoto normativo. È ora che il parlamento intervenga» – L’intervista
«Questo ricorso contro la nostra assoluzione aggrava il quadro di incertezza giuridica attorno al tema del suicidio assistito. Per i malati irreversibili che vogliono essere aiutati a morire si apre uno spazio di grande incertezza e ambiguità sui modi e tempi con i quali potrebbero eventualmente beneficiare di questo diritto. Questo oggi è il problema». Marco Cappato commenta così la decisione della procura di Massa di ricorrere in Appello contro l’assoluzione sua e di Mina Welby nell’ambito del caso di Davide Trentini, un uomo di 53 anni che entrambi hanno aiutato a morire in una clinica in Svizzera nel 2017. Così aveva deciso Trentini, perché malato di sclerosi multipla dal 1993 e in condizioni che gli procuravano troppa sofferenza.
Una decisione che la Corte d’assise aveva ritenuto legittima assolvendo Welby e Cappato nel luglio del 2020. Ma, nonostante nel settembre del 2019 la Corte Costituzionale avesse ritenuto legittimo «a determinate condizioni» agevolare «l’esecuzione del proposito di suicidio», il parlamento non ha ancora legiferato in merito, aprendo lo «spazio di incertezza» a cui fa riferimento Cappato.
Quando è stato assolto nell’ambito del caso Dj Fabo ha dichiarato: «Ora andiamo avanti per la libertà delle persone che sono nelle condizioni di Davide Trentini». Prevedeva che sarebbe stata dura?
«Naturalmente il pubblico ministero ha diritto di appellarsi alla sentenza, anche di assoluzione, ritengo che le motivazioni della assoluzione fossero molto solide e quindi mi pareva assolutamente possibile, se non probabile, che la vicenda fosse chiusa».
Nel commentare la decisione del pm fa riferimento alla lettera di Papa Francesco Samaritanus bonus. Crede che ci sia un legame diretto tra la lettera del Papa e la decisione del pm?
«La lettera segna uno scontro lanciato dal Papa che avrà le sue ripercussioni in parlamento e possiamo anche immaginare che avrà ripercussioni anche nelle aule dei tribunali. Ovviamente in questo caso si tratta di una una decisione autonoma del pubblico ministero. Certamente il Vaticano ha lanciato pubblicamente una mobilitazione e uno scontro su questo fronte. Sicuramente sono due fatti che esprimono una ostilità all’idea che si possa essere legalmente aiutati a morire».
Chi ha creduto che la sua assoluzione nel caso di Dj Fabo segnasse un punto di svolta si sbagliava?
«A determinate condizioni l’aiuto a morire è diventato legale in Italia grazie alla Corte Costituzionale. Questo non è cancellato dal ricorso del pm. Io sono stato assolto in via definitiva a Milano. In Italia oggi si può essere autorizzati ad aiutare a morire. Naturalmente la giurisprudenza e i giudici hanno il compito di distinguere ogni singola situazione e condizione. Quello che manca è la legge: ed è la ragione per cui la Corte Costituzionale ha chiesto al parlamento di intervenire».
In che modo esattamente deve intervenire il parlamento?
«Oggi il principio è riconosciuto – ovvero che a determinate condizioni si può essere aiutati a morire – ma in assenza di una legge non ci sono delle garanzie precise su come questo diritto possa essere attuato e come se ne possa beneficiare. Noi stiamo seguendo due casi di persone che rientrerebbero nelle condizioni stabilite dalla Corte costituzionale e che quindi hanno chiesto alla Asl di essere aiutati a morire. In un caso la Asl ha riferito di aver rivolto la richiesta al comitato etico locale, ma i tempi non sono chiari. Potrebbero anche non rispondere. Nell’altro caso invece la Asl senza nemmeno rivolgersi al comitato etico, ha detto “no”. Quindi che cosa deve fare adesso il malato? Ecco qual è il problema: anche quando i malati hanno diritto, in teoria, nella pratica non è detto che riescono a goderne. Serve un intervento del parlamento».
Ha ricevuto segnali incoraggianti in tal senso?
«Due segnali significativi che sono stati lanciati sono sono quelli di Giorgio Trizzino e adesso del presidente della Commissione giustizia Mario Perantoni che ha garantito la ripresa delle discussione e le audizioni. Quindi un segnale della volontà di alcuni c’è, ma sappiamo ovviamente che questo non significa necessariamente che si arriverà alla fine della procedura».
Crede che entro questa legislatura si arriverà a una legge sul fine vita?
«Io credo che si debba fare e ci battiamo per farlo. Più che fare previsioni dico: deve succedere. Anche perché noi andiamo avanti, sia ad aiutare quelli che possono essere aiutati legalmente, sia con la disobbedienza civile. Saremmo anche pronti ad aiutare altre persone. Se la conseguenza di questi procedimenti dovesse essere il carcere noi andiamo avanti in ogni caso».
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