Il conflitto tra armeni e azeri nel Nagorno Karabakh: il ruolo (ambiguo) di Mosca e l’aggressività turca
Da una settimana sono riprese le ostilità tra Armenia e Azerbaigian nel Nagorno-Karabakh. Gli scontri sono i più gravi scoppiati dal 2016, e prima ancora dal 1991 quando la dissoluzione dell’Unione Sovietica spinse la popolazione a maggioranza armena del Nagorno Karabakh a separarsi dall’Azerbaigian. Le violenze tra Baku e Yerevan portarono da entrambe le parti a una pulizia etnica. Furono 30mila le vittime di un conflitto che durò fino al cessate il fuoco del 1994.
Il presidente russo Vladimir Putin e quello francese Emmanuel Macron hanno chiesto una sospensione totale dei combattimenti. Il ritorno delle ostilità era nell’aria. «Non soltanto per i segnali inequivocabili che sono continuati ad arrivare da luglio nella regione, ma anche perché ancora una volta – come già in passato – al “campanello d’allarme” suonato con gli scontri armati della scorsa estate non è seguita una ferma presa di posizione della comunità internazionale», spiega a Open Carlo Frappi, professore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e ricercatore dell’ISPI.
Baku si oppone allo status quo
In un conflitto che si protrae da trent’anni, gli scontri «sono dettati dalla evidente insostenibilità di uno status quo che vede una parte significativa del territorio internazionalmente riconosciuto all’Azerbaigian – ovverosia il Nagorno-Karabakh propriamente detto e sette distretti circostanti – sottratto all’esercizio della sovranità di Baku dalla conquista e occupazione militare armena», dice Frappi secondo cui due colpevoli di questo stallo negoziale sono la comunità internazionale e l’opinione pubblica: «L’unico quesito da porsi non era se il conflitto si sarebbe riacceso, piuttosto quando».
A garantire un proseguo dei negoziati doveva essere il Gruppo di Minsk dell’Ocse guidato da Francia, Russia e Stati Uniti che però ha mancato, fa notare Frappi, di dare una «spinta più risoluta utile a portare i belligeranti al tavolo negoziale, sulla base dei principi per la risoluzione pacifica della controversia definiti e accettati dalle parti già da tempo».
Gli interessi di Russia e Turchia
Ma se da una parte c’è stata una mancanza di visione – e volontà – da parte degli organi internazionali scelti, dall’altra lo scontro tra Armenia e Azerbaigian è andato a intrecciarsi con dinamiche di politica regionale e internazionale, nonché di politica interna con i ruoli giocati nelle ultime settimane da Russia e Turchia. Tuttavia, «è impossibile paragonare il peso che Mosca riveste nel Caucaso meridionale a quello di Ankara – decisivo il primo, rilevante ma chiaramente più limitato il secondo», aggiunge Frappi.
La Russia sta giocando una doppia partita nel conflitto. Da sempre viene descritta come la protettrice dell’Armenia, «ma rispecchia questa realtà fino a un certo punto», fa notare invece Eleonora Tafuro, Research fellow dell’ISPI. Mosca ha mantenuto rapporti economici e di partnership con entrambi i Paesi, in particolare nell’ambito della vendita di armi con «uno sconto molto forte all’Armenia, e tecnologia più sofisticata trasferita all’Azerbaigian» che dispone delle risorse economiche per permettersi armi più avanzate, dice Tafuro.
La partita di Ankara e i rapporti energetici con l’Azerbaigian
Sul fronte turco, sin dal crollo dell’Unione Sovietica Ankara ha cercato di diventare il leader dei paesi turcofoni e tra Baku e Ankara c’è sempre stato un rapporto guidata innanzitutto dalla «stretta affinità etnico-linguistica», ricorda Frappi. Dal punto di vista economico da anni la Turchia ha portato avanti investimenti reciproci, e ricevuto forniture di idrocarburi dall’Azerbaigian e «il ruolo turco di snodo nel sistema di infrastrutture di trasporto energetico tra Baku e i mercati europei – è tutt’altro che secondario», aggiunge Frappi. Ma la strategia turca nel conflitto del Nagorno Karabakh con l’invio, non ancora confermato, di mercenari siriani nel territorio, è la prova, ulteriore, di come «la Turchia sia diventata più assertiva e meno incline al compromesso in campo internazionale», dice Tafuro.
Il legame (di petrolio) tra Roma e Baku
Ma non è solo la Turchia ad avere un forte rapporto economico con Baku. L’Azerbaigian è stabilmente tra i primi tre fornitori di petrolio all’Italia ed è dal territorio azero che partirà il gasdotto transadriatico (TAP) «che contribuirà alla ulteriore diversificazione dei canali di approvvigionamento nazionale», dice Frappi che nota come lo scorso febbraio la visita del primo ministro azero Ilham Aliyev traccia i contorni di una rilevanza dell’Azerbaigian per l’Italia che sembra «potersi ampliare notevolmente anche al di fuori del comparto energetico».
Lo stallo internazionale
Intanto entrambi gli schieramenti hanno comunicato vittime tra civili e l’intensità degli scontri, con carri armati non si vedeva da decenni. Sicuramente – dice Tafuro – la scintilla di questo nuovo confronto «è stata accesa il 27 settembre dall’Azerbaigian che ha più interesse nel cambiare lo status quo». Mentre Francia e Russia si sono fatte portavoce del gruppo di Minsk chiedendo alle parti di diminuire l’escalation e arrivare a un cessate il fuoco è chiaro che a Mosca «non conviene inimicarsi la Turchia più di tanto – aggiunge Tafuro – perché in Medio Oriente si trova immischiata in vari fronti di crisi e il rapporto con Ankara è fondamentale».
Foto copertina: EPA/Hayk Baghdasaryan
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