Coronavirus, quaranta scienziati chiedono i dati su «Sputnik V». Mosca risponde con la «Macchina del fango»
Il mese scorso una lettera aperta firmata da 40 scienziati avanzava dubbi e chiedeva chiarimenti sui dati forniti dal Centro Gamaleya e dal fondo sovrano Rdif (Russian irect Investment Fund), riguardo a Sputnik V, il vaccino russo anti-Coronavirus. Le cose, da allora, si sono evolute piuttosto lentamente. Al momento abbiamo a disposizione solo lo studio pubblicato su The Lancet. Intanto, Nature ha fatto eco alla richiesta di chiarimenti, ospitata nel blog di Enrico Bucci, Cattivi Scienziati.
Poco prima dell’intervento di Nature, però, Bucci, adjunct professor presso la Temple University di Philadelphia, titolare della società di revisione degli articoli scientifici Resis srl, ha subito la “clonazione” della sua pagina Facebook. Memori del prezioso aiuto che ha fornito al progetto Fact Checking di Open, insegnandoci tante cose riguardo all’analisi degli studi scientifici, lo avevamo contattato. E il professore ci aveva messo subito in chiaro una cosa: come testimoniano i suoi scritti e lo stesso contenuto della lettera aperta, non ha mai voluto accusare di alcuna disonestà il governo russo o gli scienziati coinvolti nella sperimentazione dello Sputnik.
Il punto è che la scienza si fa coi dati concreti. E di fatti su Sputnik V fino a oggi ce ne sono davvero pochi, mentre secondo i firmatari della lettera aperta, emergerebbero aspetti non meglio chiariti, di potenziale inesattezza o alterazione dei dati. Dall’articolo pubblicato dal Lancet si evincono infatti, diverse anomalie:
«Molti hanno osservato – continua Bucci – che lo studio è condotto su un numero insolitamente piccolo di volontari. In realtà, si tratta di due studi indipendenti, condotti su due formulazioni diverse – una in soluzione e una liofilizzata – dello stesso vaccino, ciascuna sperimentata su solo 20 volontari: davvero un campione poco significativo per trarre conclusioni diverse da un incoraggiamento a continuare la sperimentazione».
Diversi modelli utilizzati dagli scienziati russi sembrano inoltre stranamente ripetitivi, certi valori appaiono duplicati, in un contesto dove è molto improbabile che accada. Non di meno, nessuno avanza accuse di cattiva condotta. I 40 firmatari chiedono solo di poter esaminare i dati originali.
A quasi un mese da questi fatti non sembra essere giunto alcun chiarimento da parte dei ricercatori coinvolti. «La risposta degli scienziati russi, a prima firma di Denis Logunov, ha ribattuto ad alcune osservazioni ma non è stata soddisfacente sul punto più importante: la trasparenza. I russi hanno risposto che i dati sarebbero stati resi disponibili “su richiesta” e “dopo un’approvazione”: la richiesta è stata inviata, ma l’approvazione non c’è mai stata», spiega Luciano Capone su Il Foglio.
Eppure non possiamo certo dire che una risposta – se pure indiretta – non ci sia stata. Purtroppo però si tratta di una macchina del fango, dove si svia dall’argomento principale, attaccando Bucci, reo di aver riportato nel suo blog una lettera firmata da tanti altri scienziati. Bucci, in quanto titolare di una società specializzata nella review dei paper scientifici, soffrirebbe di un conflitto di interesse, e avrebbe manovrato per farsi pubblicità.
Questi ragionamenti in stile Guerra fredda, dove lo Scienziato diventa una pedina dello scacchiere internazionale, come se i vaccini fossero testate nucleari, provengono dall’Agenzia di stampa russa omonima del vaccino, Sputnik News. Allo scienziato italiano si riservano termini che di scientifico hanno ben poco, associandolo agli «sciacalli, che si prendono regolarmente quel che avanza», o più direttamente lo si definisce «uomo d’affari della scienza», usato da un non meglio definito «Occidente», nemico dei russi.
Ma se essere titolati ad analizzare degli studi scientifici è un conflitto di interesse, nonostante la lettera aperta non sia firmata solo da Bucci, chi altri dovrebbe essere ritenuto degno di chiedere chiarimenti sui dati? Forse anche Nature partecipa a questo complotto occidentale contro la Russia?
Ricordiamo che il Gamaleya e il Rdif sono legati al Cremlino e che il loro vaccino è stato lanciato in pompa magna, nonostante fosse ben al di sotto delle fasi più avanzate della sperimentazione, e che il modo in cui è stato battezzato (Sputnik V), rievoca più un legame ideologico che scientifico. Tutta questa macchina propagandistica si è mossa ignorando anche autorevoli critiche interne, come quelle di Svetlana Zavidova, responsabile dell‘Associazione russa delle organizzazioni di sperimentazione clinica.
È difficile ignorare questi evidenti bias politici, che, come in un copione già visto tante volte andando a caccia di Fake news, si ripresentano spesso: chi ha conflitti di interesse e pregiudizi ideologici, spesso riflette questi limiti negli altri, rei di chiedere spiegazioni. Una tecnica che si addice maggiormente ai guru delle tesi di complotto, che a degli scienziati.
Se proprio vogliamo essere esaustivi, per dovere di cronaca dobbiamo ricordare, che già nel maggio scorso i Servizi segreti britannici avevano prodotto un report, dove denunciavano l’attività di sabotaggio attuata da un gruppo di hacker ritenuti vicini a Mosca, per ostacolare le aziende impegnate nello sviluppo dei vaccini anti-Covid, e forse anche nel carpirne i dati.
Infine, ricordiamo che l’Agenzia di stampa Sputnik News è un’emittente governativa russa. Il suo ruolo di organo della propaganda di Putin è piuttosto noto, così come quello della sua enclave nostrana Sputnik News Italia. Una delle più note fake news partite proprio dall’emittente di Mosca, è quella in base alla quale Barack Obama e Hillary Clinton avrebbero creato l’ISIS. Tale affermazione attribuita a Donald Trump, è stata poi enfatizzata da Sputnik, facendo riferimento a presunti file segreti che lo confermerebbero. Potete leggere il fact checking di FactCheck.Org in merito.
Insomma, non ci sembra proprio il pulpito giusto da cui rispondere alla garbata richiesta di chiarimenti di un gruppo di scienziati, con accuse di tipo denigratorio, che nulla hanno a che fare col merito dei dati. In un dibattito in seno alla comunità scientifica questi ultimi dovrebbero bastare, se esistono.
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