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Coronavirus, i numeri in chiaro. La prof. d’Igiene Laurenti: «Mini-lockdown inevitabili. Il mondo del calcio sia più intelligente»

04 Ottobre 2020 - 20:32 Giada Giorgi
«A marzo ci fu l’espediente degli alberghi. Ora occorre trovare strutture analoghe per persone che clinicamente non sono molto gravi ma che hanno necessità di stare isolate», dice la direttrice dell’Istituto d’Igiene

Il bollettino della Protezione Civile di oggi, 4 ottobre, registra l’Italia nel quinto giorno consecutivo di contagi oltre quota 2.000. Numeri che cominciano a preoccupare non poco, nonostante la lieve contrazione che i 2.578 positivi di oggi hanno rappresentato, rispetto al dato record dei +2.844 di ieri. «Un calo sì ma quello che importa è il trend», comincia a spiegare Patrizia Laurenti, professoressa di Igiene presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

«Dobbiamo focalizzarci sul fatto che per la nona settimana consecutiva assistiamo ad un aumento dei casi. Questo è un dato incontrovertibile che certamente deve tenere alta l’attenzione, soprattutto se si pensa che le cifre attuali sono le stesse registrate nel periodo di marzo. Tuttavia i numeri non sono l’unico aspetto da dover considerare oggi per capire meglio dove stiamo andando».

Di cos’altro è necessario tenere conto, professoressa?

«Serve fare una differenza tra i due periodi. Nel mese di marzo l’epidemia stava crescendo in un contesto di conoscenza della malattia pressoché nullo. Dunque utilizzare oggi i numeri nudi e crudi nel confronto con un inizio di pandemia ben diverso può essere fuorviante. Gli oltre 2.000 contagi vanno inseriti in un contesto epidemiologico molto diverso, che deve tenere conto della conoscenza maggiore che abbiamo del virus. Oggi possediamo delle evidenze e delle certezze che all’epoca non avevamo. Dunque dal punto di vista dell’impatto clinico assistenziale non siamo di fronte al dramma che vivevamo a marzo.

I numeri dei contagi del 4 ottobre rispetto a quelli di marzo riguardano soprattutto persone asintomatiche o con sintomi lievi, quasi il 36% li scoviamo a seguito delle attività di tracciamento dei contatti e quasi il 30% con l’attività di screening. Clinicamente dunque l’impatto è inferiore. L’aspetto su cui fare attenzione è che queste persone sono comunque in grado di diffondere il virus».

Sottolineava il dato dei ricoveri come l’osservato speciale degli ultimi bollettini. Oggi abbiamo registrato 83 unità in più per quelli ordinari, 303 le persone in terapia intensiva. Fa eco la Francia, sicuramente in una condizione peggiore con quasi 17mila positivi, ma che ha registrato un boom proprio sul dato dei ricoveri. Ci dirigiamo verso un inverno che ci avvicinerà alla condizione dei Paesi europei più a rischio?

«La socialità è uno dei più grandi pericoli per la situazione epidemiologica in Italia al momento. Assembramenti, feste, occasioni in luoghi chiusi in cui non vengono rispettate le norme sono le principali fonti di rischio. Questa sembra essere ormai vecchia notizia ma purtroppo a molti non è entrato ancora in testa. È per questo che le restrizioni a cui dovremmo attenerci di nuovo e a livello nazionale credo siano inevitabili».

Si riferisce al nuovo dpcm del 7 ottobre? Crede che l’idea di mini -lockdown e mascherine all’aperto siano la strada per un ritorno a scenari simili alla fase 1?

«Non credo che ci si stia incamminando verso una nuova chiusura totale e non lo ritengo al momento necessario, vista la capacità maggiore, rispetto alla prima fase, di intercettare e curare il virus. L’idea dei mini-lockdown credo sia ad oggi inevitabile perché è dai contesti sociali che il virus attualmente circola e si potenzia. Occorre ancora lavorare sul modo di vivere la propria socialità. Se mi permette c’è ancora un altro dato sui continuare a far chiarezza.

Cioè quale?

«Il numero dei tamponi. Togliamoci dalla testa l’idea di avere più positivi registrati perché si fanno più tamponi. Non è questa l’equazione su cui fare luce. Il dato da sottolineare è il rapporto tra i tamponi positivi e quelli effettuati. Questo ci dice molto di più sull’andamento dei casi e attualmente si sta registrando in continua crescita.

Un aspetto che attualmente non possiamo trascurare e che rende necessario un passo indietro rispetto alle regole che fino a poco tempo fa avevamo avuto la libertà di poter alleggerire. Ad oggi non è necessario che si indossi la mascherina all’aperto camminando da soli e a debita distanza dagli altri. Ma vista l’irresponsabilità dimostrata in situazioni dove invece l’attenzione è necessaria, verranno sacrificati anche i momenti in cui uncomportamento più libero poteva essere concesso. Non siamo stati sempre capaci di gestire i comportamenti contestualizzando e avendo buon senso».

A proposito di buon senso, impazza la questione campionato di calcio. Le squadre adottano differenti strategie di comportamento, primo fra tutti l’esempio della difficile situazione Napoli-Juventus. A cosa si va incontro?

«A dei rischi importanti, frutto, mi permetta di dirlo, di una scarsa intelligenza. Oltreché di una totale mancanza di rispetto. Abbiamo bisogno che ognuno abbia intelligenza nel rispettare le decisioni prese per la salute pubblica. Fidarsi delle decisioni dell’autorità sanitaria è la prima dimostrazione di consapevolezza del fatto che la Covid non è un gioco».

Lo strumento di assistenza sanitaria di cui, alla luce degli ultimi dati, avremo bisogno qual è?

«Bisognerà potenziare le strutture di accoglienza sul territorio per persone che clinicamente non sono molto gravi ma che hanno necessità di stare isolate. Gli ospedali cioè devono ora poter dimettere le persone che non hanno bisogno di un’elevata intensità di cure. Sarà necessario dunque individuare le strutture adatte nel territorio. A marzo ci fu l’espediente degli alberghi. Occorre trovare strutture di accoglienza analoghe».

La buona notizia di oggi qual è?

«Direi che sono due. Il primo è che le dimensioni della crescita dei casi sono 10 volte inferiori rispetto a quelle dei Paesi vicini. Una consapevolezza che più che farci adagiare deve metterci nelle condizioni migliori per poter fare una prevenzione ancora migliore. Ne siamo capaci. Credo anche che questo sia l’ultimo inverno che vivremo in queste condizioni, uno stimolo di speranza che deve stimolarci a fare ancora di più.

Il secondo aspetto positivo è che oggi è più chiaro l’approccio terapeutico da adottare. Sappiamo che farmaco dare, sappiamo in che fase della storia naturale della malattia siamo. Ecco perché gli esiti clinici sono meno devastanti che a marzo, ci si è consolidati dal punto di vista dell’approccio farmacologico e non è poco».

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