Giulia Colavecchi, apicoltrice a 25 anni: «Difendiamo le nostre passioni anche se non ci portano a diventare ingegneri» – L’intervista
Caschetto, tuta e zanzariera. Giulia Colavecchi ha 25 anni e già una buona parte dell’esistenza dedicata alla natura. Una delle più giovani apicoltrici d’Italia, aveva 18 anni quando ha cominciato a sfogliare quel libro sulle api trovato a casa dei suoi. Da lì, l’idea di dedicarsi ai piccoli insetti a strisce gialle e nere non l’ha più abbandonata. Ne ha fatto un lavoro di cui va fiera e per cui combatte quotidianamente, con l’idea che «sporcarsi le mani» sia una cosa stupenda.
Giulia, apicoltrice a 20 anni, 50 arnie che ti aspettano ogni mattina e come se non bastasse 6 ettari di oliveto di cui prendersi cura e un orto da coltivare quotidianamente. Si chiama passione o coraggio?
«Credo sia il coraggio di perseguire una passione, quindi direi entrambe. Ma devo dire che non mi sento così tanto un eroina, sto facendo semplicemente quello che mi appaga. È nato tutto da un libro letto a casa quando avevo 18 anni, il mondo della api mi ha affascinato a partire da quel momento. Poi è cominciata tutta la mia formazione. Mi sono informata, ho fatto corsi su corsi per avere le giuste competenze, e da lì, nel giro di un paio d’anni, mi sono ritrovata ad acquistare dall’eredità di un mio vicino di casa apicoltore, le mie prime cinque arnie. Oggi sono diventate 50».
Cosa produci?
«Diversi tipi di miele: dal comune millefiori al tiglio, dall’acacia al castagno, fino alla melata. Ma la produzione ovviamente non è sempre la stessa. Molto dipende dagli agenti atmosferici, dai batteri, dagli acari come la varroa, arrivata in più zone del Lazio, e che ammazza presto le famiglie. Tante sono le condizioni che possono mettere a repentaglio la tua produzione ed è fondamentale abituarsi all’idea che molto del tuo lavoro dipende dalla natura. Da qui il rispetto profondo per i piccoli animali, lo sviluppo di molta pazienza e della consapevolezza di far parte di un sistema ampio di produzione di cui tu sei soltanto una parte».
La giornata tipo di una giovane apicoltrice com’è?
«Alle otto in punto si va in apiario. Preferisco non disturbare le api prima, con temperature più calde sono più tranquille e propense ad entrare in contatto con chi mette le mani all’interno dell’arnia. Sto con loro fino all’ora di pranzo per poi spostarmi nel mio laboratorio dove procedo all’invasettamento del miele, al raschiamento della propoli per il trattamento degli ortaggi, alla verniciature delle nuove arnie. Il tutto gestito anche con gli impegni relativi al terreno di famiglia che a 18 anni decisi di rilevare e di rimettere in piedi».
Hai a che fare tutti i giorni con 70 api regine e relative famiglie. Mai avuto paura?
«Certo che sì. All’inizio non è stato facile soprattutto perché sai che puoi rischiare la vita. Le api avvertono l’ormone del pericolo, dopo una puntura ne possono seguire altre 30 o 40, non è cosa da poco. Ma la chiave è riuscire a comprendere il loro linguaggio e soprattutto i giusti comportamenti da adottare per non invadere con prepotenza il loro mondo.
Ho iniziato a capire i movimenti che potevano disturbarle o comunicare loro un messaggio di pericolo. Lavoro a mani nude, puoi immaginare quanto sia importante riuscirsi a muovere in maniera giusta. Stai mettendo le mani dentro casa loro, agendo con rispetto riesci a creare un rapporto di fiducia».
Detta così sembrano meno pericolose di quanto si immagini
«Lo sono! Vorrei sensibilizzare sul fatto che l’intento iniziale di questi animali non è quello di far del male a prescindere. Per fare un esempio. L’ape può rimanere incastrata nei miei capelli, se mi agito la puntura è assicurata, se rimango tranquilla riesce a districarsi da sola e va via senza fare nulla. Altra regola per esempio è non mettersi mai nella stessa altezza dell’arnia perché ostruisci l’entrata e l’uscita dei piccoli insetti. Si sentono così ingabbiati e minacciati».
Ti fidi di loro?
«Assolutamente. Impari a conoscerle e loro conoscono te. Basti considerare il fatto che riescono bene a ricordare con quanto tatto entri nella loro casa o se usi modi bruschi. La memoria dell’animale registra che hai creato danno all’interno dell’arnia o ricorda il tuo essere rispettoso. Quello che si crea è un rapporto di conoscenza e intesa».
“Voglio fare l’apicoltrice”. Come hanno reagito familiari e amici alla scelta di un lavoro oggi un po’ atipico per la tua età?
«Con i miei familiari all’inizio c’è stato uno scontro. Avrebbero desiderato che mi dedicassi ad altro ma quando hanno capito l’impegno e la passione che avevo intenzione di investire in questa attività, mi hanno lasciata andare per la mia strada. E a distanza di cinque anni sono ancora qui con la voglia di raggiungere nuovi obiettivi. Anche le mie amiche hanno fatto un percorso simile. Soprattutto quando alla giornata di mare organizzata per stare insieme mi capitava di scegliere il lavoro nel mio laboratorio. I sacrifici da fare sono tanti ma hanno capito che non potrei farne a meno».
Quali sono gli obiettivi imprenditoriali di una giovane 25enne che ha deciso di dedicare la sua vita alla natura?
«Moltissimi! Bisogna essere tanto creativi perché non è un mercato affatto facile. Le persone non sono abituate all’idea di valorizzare il lavoro del produttore, puntano al risparmio sull’alimentazione a discapito della qualità del cibo che mangiano.
E questo penalizza molto i piccolo produttori come me. È per questo che bisogna reinventarsi continuamente e pensare a nuovi modi di valorizzare il proprio lavoro. Uno degli obiettivi per il futuro allora è la lavorazione del prodotto non solo per il confezionamento del miele ma anche per esempio per la produzione di idromele, o ancora per i cocktail fatti con i prodotti dell’aviario, una frontiera che tra i giovani sta andando molto».
Sensibilizzare verso i prodotti della natura, un compito che secondo te spetta oggi ai giovani?
«Possiamo dare un contributo forte, anche a livello imprenditoriale ed economico. Oltre alla raffinazione del miele di cui parlavo prima, la strada del settore terziario è una delle strategie di sensibilizzazione a mio parere più belle ed efficaci».
Spiegaci un po’ meglio
«Far partire la sensibilizzazione dai bambini è una delle cose a cui più vorrei dedicarmi nel futuro prossimo. Aprire un agrinido sarebbe uno dei progetti più belli a cui poter dedicare la mia competenza da apicoltrice. Di solito si parla di asili nido con la presenza di animali in generale, asinelli, pecore, maialini. L’obiettivo è creare un agrinido dedicato alle api.
Che faccia crescere i bambini nella terra, nella natura e a contatto con insetti che, come ci dicono anche diverse ricerche, si rivelano altamente benefici per la salute, soprattutto quella del sistema nervoso. Insegnare loro il modo giusto per approcciare ad animali così delicati condizionerebbe in bene il loro rapporto con l’ambiente».
Hai già avuto modo di sperimentare con qualche bambino l’idea?
«Certo, lo sto facendo con le mie nipotine di 4 e 5 anni e i loro amichetti. Ho per loro delle tutine apposite, quando li porto con me in aviario capisco quanto abbiano bisogno di esprimere tutta la loro curiosità nei confronti del mondo naturale con cui purtroppo hanno sempre meno a che fare».
Il messaggio che vorresti dare ai tuoi coetanei, a volte scoraggiati all’idea di dedicarsi alla propria passione qual è?
«Che è difficile vivere di una passione. Ma mi chiedo se per stare davvero bene ci sia altra scelta. Ho cercato tante strade prima di questa ma tutto mi riportava a dove sono adesso. Siamo assolutamente capaci di dedicarci al sacrificio se lo vogliamo, checché ne pensino quelli che denigrano la voglia di noi giovani di “sporcarsi le mani”. Sta a noi farli ricredere e non sminuirci se decidiamo che la potatura di un albero o la produzione del miele è la strada che preferiamo rispetto al lavoro di ingegnere. Difendiamo l’identità delle nostre passioni».
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