Michael Wolff: «Trump ha sempre negato la realtà. Ecco perché scommetto che perderà le elezioni» – L’intervista
«Da un punto di vista professionale dovrei andarne fiero, ma da cittadino americano mi terrorizza pensare che la traiettoria che avevo tracciato su Trump all’inizio del mandato fosse quella giusta», dice Michael Wolff collegato via Zoom dalla sua casa di New York. Il potente giornalista, che ha condiviso con il presidente circoli, amici e nemici della Manhattan degli anni Ottanta e Novanta, durante i primi mesi dell’amministrazione Trump era diventato per sua stessa ammissione la “mosca sul muro” della Casa Bianca.
Da quel periodo di frequentazione di Studio Ovale è scaturito Fuoco e Furia (Rizzoli), il primo libro-rivelazione su ossessioni e tic del neo-presidente che gli ha garantito fama mondiale e l’odio di Trump. A distanza di quattro anni e quattro milioni di copie vendute, Wolff sostiene che l’obiettivo del tycoon sia sempre lo stesso: «È un uomo ossessionato dall’attenzione altrui: ottenerla è l’unica motivazione del suo agire. Vive saltando da un picco di attenzione all’altro, e questo gli permette di non entrare mai nel merito delle questioni».
La positività di Trump al Covid è la metafora perfetta della presidenza: «Il Coronavirus è diventato l’argomento principale del nostro tempo nonché della campagna elettorale. C’è un consenso generale sull’incapacità dell’amministrazione Trump di rispondere alla pandemia e sulla gestione fallimentare della crisi sanitaria, economica e sociale. Trump ha sempre pensato di poter negare la realtà, ma alla fine la realtà lo ha afferrato».
Anche la risposta muscolare del presidente al suo contagio – i messaggi dall’ospedale, il giro in Suv nel giorno in cui tutto il mondo ha appreso che aveva avuto bisogno dell’ossigeno, l’entusiasmo urlato di chi è sicuro di farcela – in fondo non fa altro che sottolineare il carattere dell’uomo: «La situazione si è messa malissimo, ma Trump pensa ancora di poter vincere. Ha costruito la sua vita su questa attitudine: fallimento dopo fallimento, continua a ritenersi un vincente e si racconta come tale. Anche se perderà, incolperà qualcun altro e sosterrà di aver vinto».
Che si tratti di proud boys, di “bullizzare” Biden sull’uso eccessivo della mascherina o di fare «una piccola sorpresa» ai fan riuniti davanti all’ospedale, il presidente parla sempre a un target ben preciso: la sua base, i supporter che vanno dagli imprenditori del Michigan in rivolta contro il lockdown agli estremisti di destra fino all’universo dei Qanon. «Il suo impulso lo porta a dire frasi che risultano efficaci solo per quell’elettorato, che è – ricordiamolo – tendenzialmente razzista e molto divisivo. Parlare a loro è un fallimento colossale perché non sarà la base a farlo rieleggere».
Secondo lo scrittore – autore anche di Siege, sequel meno fortunato di Fuoco e Furia -, la prova della perdita di consenso tra l’elettorato moderato conservatore è arrivato già con le elezioni di metà mandato: «Hanno votato contro di lui. Mettiamo pure che sia vero che alle elezioni del 2016 ha avuto il consenso dei moderati, di certo ci sono delle differenze sostanziali rispetto ad allora: Trump non era presidente e in molti pensavano che con l’ingresso alla Casa Bianca sarebbe cambiato, che sarebbe diventato “presidenziale” e si sarebbe fatto interprete del punto di vista repubblicano tradizionale».
L’impeachment prima e la gestione “devastante” della pandemia poi, hanno fatto sì che gli americani capissero che Trump «non è solo incapace di guidare il Paese ma che la sua è una gestione folle». Wolff lo spiega così: «Nessuno è in grado di dire cosa succede alla Casa Bianca, e sa perché? Perché ciò che accade in quelle stanze rispecchia quello che succede nella testa di Trump. Un pensiero apparentemente definitivo potrebbe venire contraddetto da uno opposto che sopraggiunge un momento dopo. Trump viene influenzato da quello che guarda in tv, dagli incontri che fa: un elemento casuale è in grado di fargli cambiare totalmente traiettoria». Votare per Donald Trump significa, in definitiva, votare per un presidente «che letteralmente non ha un piano che va oltre i successivi 30 minuti».
La notizia della sua positività al Covid – non priva di confusione e zone d’ombra – di certo complica ulteriormente un quadro già difficile per le elezioni e per il Paese. Ma se chiediamo a Wolff di azzardare una previsione, non si tira indietro. Punto primo: i prossimi dibattiti presidenziali dopo quello imbarazzante del 29 settembre. «Trump è una presenza distruttiva. Se ci saranno davvero altri dibattiti, penso che dovremmo aspettarci più o meno il caos visto durante il primo».
E poi, c’è la questione tanto temuta della transizione non pacifica dei poteri in caso di vittoria di Biden: «Quello che succederà dopo il voto dipende dal margine di vittoria di Biden. Di sicuro Trump sbufferà, grugnirà e farà in modo di dimostrare che la sua sconfitta in realtà è una vittoria. Se la vittoria sarà stretta allora di sicuro possiamo aspettarci una battaglia molto dura».
In copertina: immagine elaborata da Vincenzo Monaco
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