Aumentano i contagi. E ora tutti danno ragione a Crisanti sui tamponi: «Mi hanno ignorato, mesi buttati»
Lo ripete da mesi Andrea Crisanti: ci vogliono più tamponi. Ne servono di più per tracciare le linee di contagio e per contenere l’aumento dei casi di Coronavirus. All’indomani del picco di +3.677 nuovi positivi, le parole del direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare della Università di Padova tornano a caricarsi di significato. «Abbiamo perso 4 mesi preziosi», ha detto a la Repubblica. «L’aver pensato che era tutto finito perché avevamo 100 casi al giorno è stata un’illusione e nel frattempo non s’è fatto nulla».
Era fine agosto quando Crisanti presentò un piano al governo in vista delle riaperture della scuola: procedere con una media di 300 o 400 mila tamponi al giorno. Del piano, però – recapitato anche al Cts – non ha avuto riscontro. dal Tra il 7 e l’8 ottobre le autorità sanitarie ne hanno fatti un record di 125mila. «Acqua fresca», secondo il virologo. «Una pezza calda».
Ad essere prevedibile già dall’estate (quando secondo Crisanti si era già in ritardo) era l’aumento delle richieste di tamponi che si sarebbe verificato conseguentemente alla ripresa delle attività didattiche e produttive. «Suggerivo la necessità di un investimento logistico importante – spiega nell’intervista – che avremmo potuto realizzare in 2-3 mesi, la creazione di aree mobili di supporto sul territorio e tamponi low cost da 2 euro come quelli usati a Padova».
E invece, dice, si sono spesi miliardi nel bonus bici e nei banchi. Ora non c’è più tempo da perdere: per evitare il «Far West» del fai da te regionale o – peggio – locale, il governo deve investire sulla sanità: «I fondi del Mes sono disponibili da ora, li usassero», dice. «Il virus si batte solo sul campo». E oggi anche dallo stesso governo, il ministro Speranza e il suo consigliere Ricciardi dicono all’unisono che serve ampliare la capacità di testing, ma se siamo in ritardo è colpa della Regioni che non hanno speso i fondi stanziati.
L’impatto sulla scuola
Come aveva detto a Open a metà agosto, nei giorni più frenetici di decisioni, la questione non era evitare il contagio in classe, ma evitare che negli istituti entrassero persone positive. Ora, dice il virologo, allo stato attuale delle cose, quel che si può fare è un lavoro sulla comunità: da una parte tamponi classici sui possibili infetti, dall’altra il monitoraggio di parenti, colleghi e amici con un screening di test rapidi.
Di conseguenza, questo avrebbe impatto anche sulle scuole: oltre a consigliare l’uso continuo della mascherina e ai termoscanner agli ingressi, per Crisanti è fondamentale che vengano lasciati a casa insegnanti e studenti provenienti da comunità in cui c’è un’alta trasmissione del virus. Una strategia che eviterebbe le chiusure a singhiozzo, ma che obbligherebbe il Ministero dell’Istruzione a fare i conti con la carenza di personale.
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