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Mancanza di personale e ritardi nei risultati: con la nuova ondata di Coronavirus il sistema dei tamponi torna sotto pressione

11 Ottobre 2020 - 08:35 Cristin Cappelletti
Con l’aumento dei contagi, tanti laboratori sono già al limite. Il professor Plebani: «Abbiamo bisogno dell’aiuto dei test rapidi e salivari»

Parallelamente ai nuovi contagi da Coronavirus, aumentano anche i test effettuati in Italia per individuare i positivi. Sono 133 mila quelli effettuati ieri, 10 ottobre. Un record dall’inizio dell’emergenza. Ma con i laboratori già sommersi di lavoro, il personale si trova nuovamente sotto pressione. «Siamo stremati», dice a la Repubblica la dottoressa di un drive-in a Roma. Ieri, 10 ottobre, al punto di prelievo di Fiumicino si è creata una fila di circa 12 ore. «Quest’inverno a Padova facevamo i turni di giorno e di notte, in modo quasi improvvisato», spiega Mario Plebani, professore di biochimica clinica e biologia molecolare dell’università di Padova.

«Oggi non siamo a quel punto e l’organizzazione è più solida. Ma abbiamo bisogno dell’aiuto dei nuovi test rapidi e salivari». La media italiana di tamponi attualmente è di 2 test ogni mille abitanti. La Francia è a 2,1. Fanno meglio dell’Italia in Europa anche Belgio, Portogallo, Finlandia e, soprattutto, il Regno Unito con 3,3 tamponi ogni mille persone. Più basso, invece, il conteggio per la Germania che, con meno positivi, ha messo in moto 1,8 test ogni mille abitanti, secondo lo European Centre for Disease Prevention.

L’ostacolo al piano Crisanti

Come fa notare la Repubblica, il vero problema è il tempo di risposta per avere il risultato. In Francia a metà settembre si poteva aspettare anche 11 giorni per avere l’esito del tampone. Negli Usa si supera il tempo utile di 2-3 giorni. E anche in Italia i risultati arrivano spesso in ritardo. «Il test ha senso se riesce a isolare i positivi – dichiara Plebani al quotidiano – e tracciarne rapidamente i contatti». A incidere è anche la questione del luogo in cui ogni Paese decide di processare i test. Stati Uniti e Regno Unito preferiscono pochi laboratori centralizzati. «Questo vuol dire perdere tempo nei trasporti», dice Plebani.

Se i numeri dovessero continuare a crescere, il sistema italiano rischierebbe di trovarsi ad affrontare di nuovo il problema della disponibilità di personale. Solo per i prelievi, se si volesse mettere in atto il piano Crisanti da 300 mila tamponi al giorno, servirebbero 15-20 mila infermieri. I tecnici capaci di fare un tampone sono pochi, e la formazione richiede tempo. «A marzo – racconta Plebani – erano venuti in tanti ad aiutarci, tecnici o specialisti di altre discipline. I laboratori universitari che prima erano dedicati alla ricerca ci hanno dato una mano». La speranza degli addetti ai lavori è che quella situazione non si ripresenti.

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