Usa 2020, aumenta il rischio di disordini dopo le elezioni: «Solo con un’alta affluenza si eviterà il caos»
La macchina delle elezioni sta cigolando. Con la cancellazione del secondo dibattito, la pandemia e le continue accuse di frode di Donald Trump al voto per posta, le prospettive di un caos post 3 novembre preoccupa gli analisti americani. A poco meno di un mese dal voto per eleggere il prossimo presidente americano, mentre cresce l’attesa per il risultato, aumenta parallelamente anche la confusione di un’elezione che, a partire dal primo dibattito televisivo, risulta sempre più caotica, divisiva, e polarizzata.
Da settimane il presidente americano ha messo in discussione l’affidabilità del voto per posta le cui richieste sono moltiplicate a causa della pandemia. Per Donald Trump i rischi di frode sono alti, ma «gli americani hanno votato per corrispondenza almeno fin dalla guerra civile, e circa il 25% dei voti andati ai repubblicani nel 2016 sono stati espressi per posta», spiega a Open David Becker, fondatore e direttore esecutivo del Center for Election Innovation & Research. Per Becker il rischio di frode è estremamente raro ed è sicuro che le istituzioni reggeranno. Esiste però – dice Becker – «una preoccupazione che Trump e i suoi alleati – che non è l’intero partito repubblicano – cercheranno di ribaltare il risultato».
Saranno decisivi gli Swing States
In questa elezione saranno ancora più decisivi gli Swing States, i cosiddetti stati altalenanti le cui preferenze incerte di elezione in elezioni sono determinanti nel conferire la vittoria a uno o l’altro candidato. «Per questo è importante – dice Becker – che gli americani vadano a votare, dobbiamo evitare risultati marginali che possano aprire la strada a vittorie contestate». Dall’apertura del voto sono quasi 60 milioni gli americani che hanno già espresso la loro preferenza. Un’affluenza che, se continuerà in questa direzione, «sarà la più alta dagli anni ’60 – dice Becker – e addirittura dalla prima guerra mondiale».
A spaventare però osservatori e analisti è quel periodo di interregno tra il voto del 3 novembre e il 20 gennaio, nel caso di vittoria di Biden, quando il nuovo presidente entrerà ufficialmente in carica. Con vittorie risicate il rischio di disordini è concreto. «Trump ha dato voce ai gruppi di destra estrema del Paese», osserva il politologo Charles Stewart III, direttore del Massachusetts Institute of Technology Election Lab. «Per questo c’è la percezione che possano esserci violenze. Questi gruppi si sentono di poter agire senza restrizioni con il consenso del presidente americano».
D’altronde è lo stesso Donald Trump ad aver dichiarato che non garantirà – nel caso di sconfitta – una transizione pacifica. Ma la costituzione è molto chiara, afferma Charles Stewart. «Alla fine anche Al Gore nel 2000 ammise la sconfitta» dopo il riconteggio dei voti in Florida. Quest’anno saranno invece la Pennsylvania, il Michigan, e il Wisconsin gli Stati chiave. «Se in uno di questi – aggiunge Stewart – dovessimo avere una vittoria molto risicata allora le due settimane che seguiranno potrebbero essere molto caotiche. I candidati si batteranno per ogni singolo voto».
Ma in questi anni la politica americano è cambiata. «È diventata più polarizzata – afferma Stewart – non ci sono indecisi come potevamo trovare nel 2016 e i sondaggi suggeriscono che né i dibattiti, né altro potrà far cambiare idea agli elettori su chi votare». Nel 2016 furono le donne a favorire la vittoria di Trump e la sconfitta di Clinton. Ed è questo – secondo Stewart – il gruppo che a novembre potrebbe fare la differenza per l’uno o l’altro candidato: «Negli ultimi anni le loro preferenze si sono spostate. Le cosiddette donne dei sobborghi americani, bianche, e della classe media, non hanno amato gli atteggiamenti autoritari di Trump. Se dovessi scommettere su qualcuno, scommetterei su di loro».
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