Il problema non è Mirko Scarcella. Il problema siamo noi che crediamo ancora nei guru
Tre ore e 29 minuti. Il regista Martin Scorsese non ha mai avuto paura di creare pellicole lunghe ben oltre la media canonica di un’ora e mezza su cui si ferma la maggior parte del film. Eppure nel 2019 ha superato anche i limiti a cui aveva abituato il suo pubblico, presentandosi al New York Film Festival con i 209 minuti del suo The Irishman. Nella serata del 12 ottobre la redazione de Le Iene ha voluto superarlo, mandando in onda una puntata speciale lunga esattamente cinque minuti in meno dell’ultima fatica di Scorsese: 204 minuti.
Il titolo era Do you know Mirko Scarcella?. Per chi fosse vissuto in un eremo fra le montagne nelle ultimo mese, scelta in ogni caso invidiata, Mirko Scarcella è uno specialista dei social network, di Instagram in particolare. Nel suo curriculum, o almeno in quello sbandierato dai giornali, vanta collaborazioni con influencer del calibro di Gianluca Vacchi, Cristiano Ronaldo, le sorelle Kardashian o Donald Trump. Collaborazioni nate dalla sua capacità di decifrare la formula del successo su Instagram, un algoritmo che nel tempo ha offerto in cambio di bonifici da migliaia di euro anche a chi è ben lontano dai numeri di queste celebrity.
Nello speciale mandato in onda da Le Iene Gaston Zama, nome d’arte di Giorgio Romiti, si mette alla ricerca dell’algoritmo segreto di cui parla Scarcella. Il risultato non è certo dei più lusinghieri, anzi. Tutto lo speciale, anticipato a inizio settembre da un’intervista a Scarcella, si basa fondamentalmente su due tipi di testimonianze: persone che l’hanno pagato ricevendo in cambio poco o nulla e persone, come Cristiano Ronaldo, che non l’hanno mai sentito nominare. Al netto che i reati, se ci sono stati, andranno accertati in tribunale e che il “metodo Iene” già altre volte (caso Stamina) non si è rivelato esattamente a prova di bomba, il servizio apre comunque a qualche riflessione più ampia.
L’arte di diventare guru e la fragilità dei media
Prima di essere un brand di
abbigliamento diventato famoso all’inizio degli anni zero (e poi
fallito), il termine guru deriva dal sanscrito. Senza addentrarci nel
culto induista, questa parola significa qualcosa come «maestro»
ed è sfumata con una valenza mistica. In Italia, soprattutto nel
gergo giornalistico, viene usato per indicare esperti di settori
ancora difficili da comprendere al pubblico mainstream. Non solo. Di
solito il termine guru è associato all’idea di consulenti di
successo che hanno fatturato milioni di euro svelando a pochi e
paganti eletti misteri più cercati del Santo Graal.
Nello speciale de Le Iene si arriva proprio a parlare di una Gurulandia, un intero ecosistema in cui consulenti di ogni tipo riescono a vendere telefonate, cene, ritiri o viaggi in aereo a migliaia di euro. Nessuna cifra è troppo bassa per accedere agli incontri (più preferibilmente alla serie di incontri) per svoltare una volta per sempre il proprio business. Eppure non è la prima volta che qualche guru si rivela essere essere esperto solo nel comunicare se stesso.
Il caso più noto in Italia, fino a ieri sera, era quello di Alessandro Proto. Il titolo della sua biografia ufficiale, scritta insieme al giornalista Andrea Sceresini, è abbastanza chiaro Io sono l’impostore. Sedicente uomo d’affari, Proto era diventato famoso inviando comunicati stampa e virgolettati a giornali e agenzie di stampa, riportando finte operazioni immobiliari, investimenti milionari e perfino partecipazioni a Sanremo.
Fake news, in breve, che anche se smentite aumentavano il rumore attorno al personaggio tanto da convincere i suoi follower a investire su di lui. Fake news che venivano pubblicate dai giornali senza troppe verifiche, grazie anche al muro di fumo che il sedicente imprenditore alzava, da bravo guru, su aspetti del mercato finanziario poco chiari a un pubblico mainstream. Dopo una serie di condanne per reati legati alla truffa, Proto ha deciso di svelare tutto il suo sistema alla stampa, prima con il libro e poi con una lunga intervista concessa a Vice. E anche qui non ha problemi a presentarsi come «l’uomo che ci ha fregati tutti».
Il business dei sogni
Fra tutte le interviste riportate nello speciale su Mirko Scarcella, ce n’è forse una che lascia più spiazzati. È quella a Lorenzo Redaelli, un ragazzo di 19 anni di Milano che aveva comprato uno dei libri di Scarcella, Instasecrets, per cercare di aumentare i follower del suo blog. Grazie a un concorso, lanciato dallo stesso Scarcella, Lorenzo aveva vinto anche «il telefono più piccolo del mondo», un dispositivo che gli sarebbe dovuto arrivare a casa con registrato in rubrica un solo numero: quello dell'(ex?) guru della comunicazione.
Nessun telefono è mai arrivato. Nessuna chiamata per ottenere una consulenza diretta è mai stata fatta. E Lorenzo, che da quello che racconta sembrava essere sinceramente interessato a parlare con Scarcella, si è pure sentito dare dell’accattone per aver chiesto più volte l’invio del suo premio. Come lui ci sono Isac, dj di Aosta che voleva un aiuto mai arrivato per far conoscere la sua musica, o Ciro, cantante lirico che ha investito su Scarcella tutti i suoi risparmi. Tutte persone che hanno scelto di puntare sul genio di Instagram non semplicemente per allargare un business ma per provare a coronare i loro sogni, quei progetti per cui, incrociando le dita, a volte rischiamo oltre le nostre possibilità.
Il tentativo di replica, su Twitch
In tutta questa vicenda c’è stato anche un inedito risvolto tecnologico. Una delle persone che hanno lavorato con Mirko Scarcella è Fabrizio Corona. Insieme allo youtuber Social Boom, Corona e Scarcella avevano organizzato una reaction alla puntata de Le Iene in live su Twitch. Un sorta di replica in diretta, in cui Scarcella avrebbe dovuto demolire tutte le accuse. L’idea non ha avuto molto successo. La live infatti è stata bloccata quasi subito da Twitch per violazione delle norme della piattaforma.
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