Terapie intensive, personale sanitario e capienza degli ospedali: ecco le regioni che rischiano di più
Salvate gli ospedali e le terapie intensive. Ma soprattutto: non si poteva e doveva fare prima? Cosa è stato fatto fino a ora? L’annunciata seconda ondata di contagi di Coronavirus è ormai realtà, e l’allarme è sempre lo stesso: contenere la situazione negli ospedali e nelle terapie intensive. È questo uno dei principali indicatori della (vera) crisi, mentre da più parti si lamenta il fatto che in questi nove mesi di emergenza non si è fatto abbastanza: né nell’ampliare il numero dei posti letto, né nel mettere mano alla medicina territoriale. I contagi sono in aumento esponenziale e si sta di nuovo, di fatto, ospedalizzando il virus.
L’allarme di Arcuri
A lanciare l’allarme oggi, insieme alla cronaca degli ospedali di tutta Italia che si stanno man mano saturando, è il commissario per l’Emergenza, Domenico Arcuri. «In questi mesi alle Regioni abbiamo inviato 3.059 ventilatori polmonari per le terapie intensive, 1.429 per le subintensive. Prima del Covid le terapie intensive erano 5.179 e ora ne risultano attive 6.628 ma, in base ai dispositivi forniti, dovevamo averne altre 1.600 che sono già nelle disponibilità delle singole regioni ma non sono ancora attive. Chiederei alle regioni di attivarle», avrebbe detto Arcuri al termine della conferenza Stato-Regioni di oggi. «Abbiamo altri 1.500 ventilatori disponibili, ma prima di distribuirli vorremmo vedere attivati i 1.600 posti letto di terapia intensiva per cui abbiamo già inviato i ventilatori».
L’ultimo report settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità registra «un importante aumento nel numero di persone ricoverate (4.519 vs 3.287 in area medica, 420 vs 303 in terapia intensiva nei giorni 11/10 e 4/10, rispettivamente)» e quindi di conseguenza «i tassi di occupazione delle degenze in area medica e in terapia intensiva».
Se il trend non verrà invertito, dice l’Iss, in dieci regioni le terapie intensive rischiano di andare in crisi a breve, già il mese prossimo: in Lombardia e Liguria in testa e poi Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Valle d’Aosta. In tutti questi casi c’è la “massima” probabilità di superare la soglia del 30% di occupazione da pazienti Covid nel prossimo mese e saturare le rianimazioni.
I ritardi
Secondo un articolo del Sole24Ore, al momento sono solo tre le regioni effettivamente attrezzate ad affrontare la seconda ondata. Quelle che insomma, per dirla in soldoni, hanno fatto quello che si doveva fare e quello che la legge richiedeva in vista di un momento che tutti sapevano che sarebbe arrivato. Veneto, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta hanno al momento un numero di letti in terapia intensiva che supera i 14 posti per 100 mila abitanti, ovvero la soglia di sicurezza sancita a maggio dall’esecutivo con il Decreto Rilancio e con lo stanziamento di 1,3 miliardi da destinare al potenziamento dei reparti per i pazienti Covid più problematici. Il Veneto ha 16,8 letti ogni 100 mila abitanti, la Valle d’Aosta 15,9, il Friuli 14,4.
Male invece per Campania, Umbria e Marche. In Campania soprattutto – lì dove il governatore Vincenzo De Luca sta chiudendo le scuole mentre i casi continuano ad aumentare – ci sono ancora, dice il Sole, solo 7,3 letti in intensiva per 100mila abitanti. Poco meglio vanno l’Umbria con 7,9 letti, e le Marche, 8,3. Al centro e al centro-nord il Lazio registra 12,7, mentre per l’Emilia Romagna il dato del governo è di 11,5, anche se la regione sostiene di essere vicina alla soglia di sicurezza con 13,5 posti in rianimazione ogni 100 mila abitanti. La Toscana risulta avere 11,1 posti.
La Lombardia, secondo il Sole, sta comunque lavorando rapidamente nella riorganizzazione delle terapie intensive, anche data l’esperienza della primavera, quando la regione è riuscita, a causa dell’emergenza sanitaria, ad aprire fino a 1.800 posti letto.
Saturate le terapie intensive in Abruzzo?
Con il decreto 34/2020, in quasi tutte le regioni sono aumentati i posti letto di terapia intensiva. Ma in almeno una regione la capacità sarebbe già esaurita: si tratta dell’Abruzzo, e il dato viene fuori incrociando quanti di questi posti aggiuntivi sono già occupati da pazienti Covid. Negli ospedali abruzzesi si è raggiunta la saturazione del 150% dei posti letto aggiuntivi implementati, dice il report settimanale dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica, campus di Roma (Altems).
La regione, interpellata, nega: «Il sistema è perfettamente in equilibrio e sotto controllo: quel numero emerge semplicemente da una diversa prospettiva con cui sono stati analizzati i dati generali», precisa l’assessora alla Sanità, Nicoletta Verì. «Attualmente l’Abruzzo ha una dotazione complessiva di 123 posti letto di terapia intensiva, che accolgono sia pazienti Covid, sia pazienti non Covid (ovviamente con idonee misure di isolamento)».
Altre regioni registrano percentuali che segnano un allarme comunque rosso: Piemonte (83%), Marche (67%), Campania (66%), Toscana (65%) e Sardegna (63%). Secondo il report le altre Regioni al momento non presenterebbero criticità. E c’è un altro ma: «A fronte dell’aumento dei posti letto di terapia intensiva manca a oggi un aumento in egual misura del numero degli anestesisti, venendo a minare il rapporto tra personale anestesista e posto letto in Ti», dice Americo Ciocchetti, coordinatore del report settimanale dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica, campus di Roma (Altems).
Secondo Altems, prima dell’esplosione della pandemia in Italia il rapporto tra anestesisti-rianimatori e posti letto di Ti era di 2,5 (cioè per ogni posto letto c’erano 2,5 unità di personale). Ora quel rapporto, tra incremento posti letto e bandi di assunzione di personale, scende in media a 1,6. Sopra la media il Friuli Venezia Giulia con 2 unità per posto letto, sotto la media nazionale invece, con 1,4 anestesisti per posti letto, Calabria e Marche. Il ricorso alla rianimazione comunque aumenta di settimana in settimana, secondo il report di Altems: la settimana scorsa l’8,09% dei ricoverati positivi al Sars-Cov-2 era finito in rianimazione. Questa settimana l’indicatore sale a 9,18%.
La polemica Stato-Regioni
«Massima disponibilità e massima trasparenza, chi ha bisogno di aiuto lo dica, ma questo va fatto prima di intervenire su lavoro e scuola», dice oggi il ministro per le Autonomie, Francesco Boccia, al termine della Stato-Regioni. «In questi mesi sono stati distribuiti ventilatori polmonari ovunque: il problema è dove sono finiti i ventilatori, attendiamo risposte in tempo reale dalle regioni». La Campania, dice ancora Boccia, «prima del Covid aveva 335 posti letto di terapia intensiva. Il governo attraverso il commissario Arcuri ha inviato 231 ventilatori per le terapie intensive e 167 per le sub intensive. Oggi risultano attivati 433 posti, devono essere 566».
La conta negli ospedali
Intanto l’Istituto Nazionale di Malattie Infettive, Lazzaro Spallanzani di Roma, fa sapere di accettare solo pazienti Covid. Una disposizione, spiega l’Unità di Crisi COVID-19 della Regione Lazio, «concordata con la direzione sanitaria e con tutta la rete ospedaliera del Servizio sanitario regionale, è necessaria per garantire la disponibilità dei posti letto per l’emergenza SARS CoV-2». D’altro canto i ricoveri allo Spallanzani stavano aumentando, e l’istituto avrebbe già saturato la capienza del 60–70%.
A Genova, nell’ospedale Policlinico San Martino, è in fase di finalizzazione una nuova struttura fissa da dedicare al triage respiratorio di pazienti covid nell’area di levante adiacente il Pronto Soccorso. Da Milano, il grido più doloroso di allarme arriva da Massimo Galli, virologo dell’Ospedale Sacco a Milano. «Guardi, siamo nelle peste. Sto cercando di occuparmi di tutti i pazienti che ho qui. Mi pare una tragico dejà vu», dice a la Repubblica. «Lo temevo già da agosto, speravo di sbagliarmi e invece no».
A Milano, continua, «la situazione si sta facendo molto allarmante, al limite della saturazione; ci sono forti criticità anche altrove. Abbiamo assoluto bisogno di far funzionare le indicazioni del decreto del governo. Diversamente la strada già tracciata è quella degli altri Paesi europei». Per Galli «tra quindici giorni saremo come la Francia, la Spagna, il Regno Unito.
In più, abbiamo una distribuzione dei contagi in tutto il territorio. E quando cominci a vedere la realtà nelle aree dove la prima ondata ha colpito meno sai che il rimescolamento delle carte di quest’estate creerà grossi problemi perché si tratta di aree che non hanno vissuto questa esperienza e non hanno strutture attrezzate».
In copertina ANSA/POLICLINICO DI SAN ORSOLA | Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna
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