Bassetti per una volta d’accordo con Crisanti: «Bisognava investire quando i contagi davano tregua, ora difficile reggere fino a marzo»
Anticipare e non inseguire il virus. Prevenire mesi fa per non trovarsi affannati dietro a una curva epidemica che ha ricominciato a correre veloce. La lettura di un momento complesso come quello attuale, in cui il Paese ha raggiunto gli oltre 10.000 casi di Covid-19 in un giorno, sembra trovare una dimensione comune nelle parole di due scienziati che ben poche volte, fino ad ora, si sono trovati d’accordo sulla strategia anti Covid più giusta da dover adottare. Il professore dell’università di Padova Andrea Crisanti e l’infettivologo del San Martino di Genova, Matteo Bassetti, spesso e volentieri in contrasto su molti punti, su una cosa ora sembrano tristemente concordare: dopo la prima ondata bisognava prepararsi presto e bene per la seconda.
Giorni fa Crisanti era stato piuttosto chiaro sulla necessità di mettere in piedi un vero e proprio piano di investimenti per «nuove assunzioni del personale, nuove risorse e competenze che avrebbero avuto un impatto graduale», convinto che «intervenire esclusivamente con l’app Immuni oggi non avrebbe senso». Un tempo di tregua nella trasmissione di contagi che doveva dunque essere sfruttato molto meglio, come ha spiegato nel dettaglio anche il virologo Bassetti al Messaggero. «Il sistema andava potenziato», ha dichiarato l’infettivologo, sostenendo che con i ritmi attuali di crescita «sarà molto difficile poter reggere fino a marzo». Una posizione piuttosto chiara quella dello scienziato che pone ulteriori interrogativi sul non intervento preventivo di molte regioni d’Italia.
«La burocrazia il peggior nemico della lotta al virus»
«Negli ultimi quattro mesi in Liguria abbiamo lavorato per decidere dove erano i posti di terapia intensiva, di semi-intensiva, di bassa e di media complessità» ha spiegato, chiedendosi perché l’iter di preparazione ad una prevista seconda ondata di contagi non sia stato altrettanto messo in atto da tutto il resto del Paese. «Se ci sono regioni già in difficoltà, significa che non è stato fatto quello che si doveva. Bisognava tenere la macchina con il motore acceso» ha continuato il professore.
Certo la gravità dei casi di marzo e aprile non ha, per ora, nulla a che vedere con le condizioni dei ricoverati attuali e Bassetti lo ribadisce parlando di «bassa e media complessità degli ospedalizzati di oggi» ma i problemi nel sistema non riusciranno a lungo ad affrontare il numero crescente di positivi. «Quando vedo una persona fare otto ore di coda per un tampone, penso che chiaramente qualcosa non ha funzionato» spiega l’infettivologo, definendo la burocrazia italiana come «il peggior nemico della lotta al Covid». Ambulatori convertiti in tempi biblici, finanziamenti bloccati, accesso ai fondi complicato. Difficoltà ben evidenti anche nella seconda ondata e su cui, secondo Bassetti, non si è lavorato abbastanza.
«Sconteremo pesantemente i ritardi»
Oggi come prima, il tempo rimane il nemico più grande contro cui combattere. Serve velocità sui tamponi, sulle diagnosi, sull’assistenza sanitaria da fornire, personale e reparti che accolgano i ricoveri di bassa complessità in modo da rendere più agevole la gestione dei casi più gravi. Una corsa che però, secondo gli esperti, poteva essere cominciata ben prima di un allarme come quello scattato negli ultimi giorni, e che ora vede nuovamente l’intero sistema costretto a grandi sacrifici. «Il Covid è una patologia in cui il tempo è fondamentale. Bisogna fare presto. Come fai a gestirla con un sistema farraginosamente lento?» si interroga l’infettivologo del San Martino, guardando ai giorni che verranno. La prospettiva futura, seppur sconosciuta nei dettagli, delinea un’incapacità nel tenere testa al virus e lo sconto amaro di quanto purtroppo non si è riusciti a fare con senso di anticipo e prevenzione. «Rischiamo di scontare pesantemente questi ritardi, la curva cresce in modo improprio» conclude Bassetti.
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