Bolivia al voto un anno dopo la cacciata di Morales: «Appuntamento storico per la democrazia»
La Bolivia al voto. Seggi aperti dalle 8 – le 14 ora italiana – fino alle 17 (le nostre 23) per una consultazione che sostituisce quella di esattamente un anno fa, il 20 ottobre 2019. Quella tornata elettorale aveva dato come esito la vittoria al primo turno di Evo Morales, presidente della Bolivia per tre mandati consecutivi dal 22 gennaio 2006: vittoria che è stata però messa in discussione, per l’esistenza di presunti brogli, dalla Missione di osservazione dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) e annullata un mese dopo. Morales, primo presidente indigeno boliviano ma anche dei paesi dell’intera area geografica e per questo chiamato El Indio, si era dimesso e per lui la magistratura aveva spiccato un mandato di cattura. Rifugiatosi prima in Messico a novembre, ora si trova in Argentina.
Per le elezioni di oggi – inizialmente previste per maggio, ma posticipate dalla presidente ad interim Jeanine Añez con la giustificazione della pandemia di Coronavirus – sono chiamati al voto 7,3 milioni di boliviani e boliviane che dovranno eleggere il nuovo presidente della Repubblica e i componenti dei due rami del Parlamento. Il clima è quello di un anno di turbolenze e di una fortissima contrapposizione tra la sinistra che ancora risponde a El Indio e il centro-destra che vorrebbe tornare in sella dopo 14 anni passati all’opposizione.
La sfida
Favorito, nella corsa alla presidenza, Luis Alberto Arce Catacora detto “Lucho”, esponente del Mas, il Movimiento al Socialismo di cui Morales era leader, già ministro dell’Economia con El Indio e fautore del boom economico boliviano. Ha l’appoggio di David Choquehuanca Céspedes, ministro degli Esteri di Morales e leader dell’ala oltranzista del Mas. Corrono per la presidenza anche Carlos Mesa, fino allo scorso anno tra i principali nemici di Evo Morales, e Luis Fernando Camacho, candidato dell’estrema destra che ha avuto un ruolo preminente dopo la cacciata dell’ex presidente nella dura repressione dei suoi sostenitori. Il Mas resta quindi favorito, nonostante le accuse di brogli dello scorso anno, e Arce dovrebbe chiudere la partita già al primo turno. Anche perché, dice lo stesso Morales, l’opposizione arriva a queste elezioni divisa.
La situazione resta naturalmente delicata e le tensioni sono dietro l’angolo. Per questo non sono mancati appelli da parte degli organismi internazionali e il Tribunale supremo elettorale ha fatto sapere che non ci sarà una diffusione dei dati preliminari alla chiusura dei seggi, come inizialmente ipotizzato. Bisognerà aspettare lo spoglio ufficiale. «Con serietà tecnica e spinto da un senso di responsabilità per il Paese, il Tse ha deciso di non usare il sistema di Diffusione di risultati preliminari (Dinepre)», spiega presidente del Tribunale, Salvador Romero. Le prove degli ultimi giorni infatti, spiega ancora, «non ci hanno permesso di avere la certezza di una diffusione completa di dati che dia certezza al Paese». Per Romero quello di oggi è l’appuntamento «più complesso della storia democratica del Paese».
L’accortezza risiede anche nel fatto che l’anno scorso era stata proprio una interruzione del sistema di Diffusione di dati preliminari a far nascere sospetti di brogli alla Missione di osservatori dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa). La tornata elettorale di oggi vede quattro misioni internazionali in osservazione: Osa, Unione europea (Ue), Centro Carter e Unione interamericana degli organismi elettorali (Uniore).
EPA/Joedson Alves | Una donna e due bambine camminano per le strade di La Paz, Bolivia, 17 ottobre 2020.
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