La partita per la revisione del patto di stabilità è persa a tavolino. La Germania si sfila dall’asse col sud Europa
La seconda ondata di Coronavirus tormenta l’Italia e l’Europa, e i governi devono decidere come rispondere. Mentre si riaccende la discussione sulla necessità di tutelare salute pubblica senza soffocare l’economia, il dato di fatto è che la seconda ondata ha infranto le prospettive di una ripresa rapida nell’Unione europea. Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha detto che potrebbero esserci ulteriori perdite e “vittime” tra gli istituti di credito.
Un allarme sullo stato dell’economia lanciato mercoledì anche dal commissario all’Economia Paolo Gentiloni che, intervenendo al Parlamento europeo, ha detto: «Stiamo affrontando una sfida senza precedenti, il costo umano è enorme, la ripresa da un punto di vista economico è iniziata a maggio ma l’incertezza è forte e ora lo slancio rallenta», e poi ha aggiunto: «C’è la necessità di un orientamento di bilancio che sostenga la crescita, dobbiamo evitare il ritiro prematuro delle misure di sostegno, non possiamo rischiare una recessione double-dip».
Anche se la pandemia non è iniziata come una crisi finanziaria, può diventarlo. Il non detto è il timore che l’Ue ripeta gli stessi errori commessi durante la crisi dei debiti sovrani nell’Eurozona. La domanda quindi è come superare la doppia recessione che si prospetta all’orizzonte. La paura di ripetere gli errori del passato. Dieci anni fa, durante la crisi dei debiti sovrani, i vincoli europei vennero irrigiditi prematuramente, contribuendo a gettare le basi per una doppia recessione in tutta l’Eurozona, che fu causa dell’aumento del divario già esistente tra Europa settentrionale e meridionale.
O, almeno, è una lettura dei fatti generalmente accettata, anche se non tutti sono disposti a riconoscerlo in maniera così esplicita. In ogni caso, la domanda da porsi oggi, è se gli Stati membri sapranno fare tesoro dell’esperienza del passato, e gettare le basi per una politica migliore. I primi segnali sono promettenti: l’Ue ha sospeso immediatamente le regole del Patto di stabilità e crescita (Psc) e rassicurato i governi nazionali che non saranno reintrodotte nemmeno l’anno prossimo. La questione però non è stata risolta: il patto di stabilità tornerà oppure no?
La geografia non è cambiata, formiche contro le cicale
Prima che scoppiasse la pandemia, le critiche al Psc erano incentrate sulla complessità e la rigidità degli obiettivi da una parte, e sulle interpretazioni eccessivamente generose fornite dalla Commissione ai paesi ad alto debito dall’altra. Argomenti che generavano frustrazione tra i “falchi” nordici, che volevano ancora più disciplina, e risentimento tra le “colombe” meridionali, che ritenevano quelle regole miopi, ingiuste e troppo rigorose. I nordici di ieri sono i frugali di oggi (Paesi Bassi, Irlanda, Austria, Finlandia Svezia, Danimarca) ma anche la Germania. I meridionali sono Italia, Spagna, Portogallo e Grecia.
Nella geografia degli schieramenti non è cambiato molto
I disaccordi hanno avvelenato i rapporti tra i governi tra il Nord-Sud e creato una diffidenza che, come si è visto anche nel negoziato sul Recovery Fund, è rimasta irrisolta. Adesso però sono molte e autorevoli le voci che ritengono inappropriati gli obiettivi di convergenza segnati verso il raggiungimento di un rapporto debito/Pil al 60% e un deficit al di sotto del 3% (i Paesi meridionali sono già oltre il 100%, con l’Italia al 149%).
Non aprire il vaso di Pandora
Gentiloni ha confermato che la sospensione del Patto di stabilità e crescita (Psc) resterà in vigore tutto il 2021 e la situazione non sarà rivalutata fino alla prossima primavera, quindi dopo aver approvato il Recovery Fund. La prudenza di Gentiloni – e quindi della Commissione – è comprensibile. Addentrarsi nella revisione del Psc significa aprire un Vaso di Pandora, e adesso il messaggio che la Commissione e i governi devono lanciare è che il sostegno alle economie rimarrà in vigore per tutto il tempo necessario, senza condizioni, senza che si apra un’altra battaglia oltre a quella già in corso per approvare definitivamente il Recovery Fund.
Il problema di fondo è che nonostante lo sconvolgimento scatenato dalla pandemia e la solidarietà dimostrata dall’impegno comune, i Paesi europei continuano a guardarsi con diffidenza, a coltivare vecchi pregiudizi e a sentirsi estranei. Una triste costante del processo decisionale europeo che sembra destinata a durare ancora a lungo.
La campagna elettorale degli altri
A pesare sulla discussione della riforma c’è anche l’agenda politica dei Paesi più importanti dell’Europa del Nord: Paesi Bassi e Germania. Le elezioni olandesi sono previste a marzo, una campagna elettorale che il premier Mark Rutte dovrà affrontare tra seconda ondata e percorso di approvazione del Recovery Fund. Concorrenti e opposizioni non gli lasceranno respiro, Rutte non può vincere mostrandosi troppo flessibile con i governi “spendaccioni” del Sud (Italia e Spagna).
La Germania invece andrà a votare tra agosto e ottobre, elezioni che stavolta saranno caratterizzate dall’assenza della cancelliera in carica da 15 anni, Angela Merkel, che si ritirerà alla fine della legislatura. Anche lì, nessuno dei candidati alla successione ha intenzione di presentarsi all’opinione pubblica come un leader generoso nei confronti dell’Europa meridionale.
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