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Coprifuoco alle 20 e lockdown temporanei: le misure urgenti secondo gli scienziati dell’appello a Mattarella – L’intervista

24 Ottobre 2020 - 08:24 Giada Giorgi
Il presidente dei Lincei Giorgio Parisi spiega a Open le ragioni e gli obiettivi dei 100 scienziati che hanno chiesto un intervento più stringente per contrastare la pandemia

400500 morti al giorno. La previsione fatta giorni fa dal presidente dei Lincei Giorgio Parisi sulle prospettive dei contagi attuali da Coronavirus è il frutto di calcoli precisi. Talmente precisi che ieri 100 scienziati da tutto il Paese hanno deciso di inviare una lettera aperta al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, pregando per un intervento deciso con «misure stringenti da assumere entro due, massimo tre giorni». Secondo i 100 studiosi non c’è tempo per misure leggere come quelle che ritengono siano state prese finora dal governo. «Stringenti», «efficaci», «drastiche»: gli aggettivi utilizzati nella lettera e anticipati dallo stesso fisico Parisi danno tutto il senso dell’urgenza dell’azione. Ma quali sono le possibili misure forti a cui si riferiscono i tecnici nell’appello al governo? Open lo ha chiesto direttamente all’ispiratore della lettera ricevuta da Mattarella.

Professor Parisi, perché la necessità di un appello al governo? Le decisioni prese finora non sono da considerarsi sufficienti per riuscire a vincere la guerra al virus?

«Questo lo vedremo tra dieci giorni ma ci sono possibilità reali che sia così. I contagi stanno raddoppiando ogni settimana. Utilizzando un minimo di stime epidemiche, questo si traduce con il fatto che ogni persona che si ammala grosso modo contagia due persone, e questo porta al raddoppio a cadenza settimanale. Se ogni persona ne contagiasse una soltanto, i casi rimarrebbero costanti. Considerato questo, l’intervento da ritenersi sufficiente sarebbe quello volto attualmente a dimezzare il contatto tra le persone. L’unico modo ad oggi che abbiamo per bloccare la curva epidemica è proprio quella di una diminuzione del 50%. Abbassare il contagio del 20% era un intervento che poteva essere risolutivo forse a settembre, adesso siamo entrati in una fase diversa, gli interventi devono essere più drastici.

Di quali interventi parliamo, professore?

Sicuramente non è riducendo l’occupazione degli autobus dall’80% al 70% che si dimezza il numero dei contatti. Può essere utile, ma di certo non è misura contestualizzata all’emergenza attuale. Così come non dimezzerà certo i numeri stabilire un lockdown notturno. Sulla lettera ci siamo mantenuti vaghi perché non siamo in possesso di dati che servono per prendere decisioni più forti. Il mio mestiere è quello di fare i conti avendo una conoscenza di come avviene l’epidemia e so per certo che con questa velocità di raddoppio stiamo andando incontro a un numero di decessi non rassicurante.

La tipologia delle misure stringenti dipende moltissimo dalle caratteristiche delle singole città, degli orari in cui le persone si ritrovano in quantità maggiore creando assembramento. Al netto di tutti dati di cui non sono in possesso, posso dire sicuramente che un coprifuoco fatto alle 20 di sera, massimo alle 21, può essere molto più incisivo rispetto a uno previsto alla mezzanotte. Alla stessa maniera la chiusura totale dei locali e delle attività non essenziali. Qualcosa dunque che incida in maniera sostanziale sul comportamento di tutti, che faccia nel concreto dimezzare le uscite di casa dei cittadini italiani. Non credo che lo stop alla movida possa farlo, al contrario oggi ci troveremmo in una condizione ben diversa.

Gli àmbiti su cui agire per il dimezzamento quali sono?

La scelta deve essere fatta sulla base dei dati in possesso dalle Regioni e dalle Asl. Socialità non vuol dire solo movida ma anche posti di lavoro, esercizi commerciali, centri sportivi. Le autorità sanitarie hanno l’informazione sulle maggiori fonti trasmissione ed è su quelle che bisogna intervenire in maniera incisiva. Ieri nel Lazio si è parlato di 1.300 nuovi positivi, la metà dei quali, è stato reso noto, sono contagi con contatti di casi noti. Bene, su quei 600 casi è urgente fare uno studio e agire in maniera mirata sull’ambito maggiore di trasmissione.

Oltre agli scienziati ci sono anche economisti tra i firmatari. L’economia è una delle possibili motivazioni per cui le misure finora adottate si sono mantenute blande e ancora di più l’obiettivo di evitare il più possibile la soluzione di un lockdown totale. Meglio preservare ora per non doverci trovare in una condizione ancora peggiore dopo?

In Israele le condizioni erano pessime. Hanno previsto un lockdown totale di un mese e hanno rimesso le cose a posto. Mi sembra chiaro che anche da noi una totale chiusura farebbe solo del bene. In tema di impatto sul sistema economico mi sembra altrettanto evidente che una chiusura totale adesso avrebbe un effetto molto limitato rispetto alla chiusura di due mesi e mezzo che abbiamo fatto a marzo.

Le due strade possibili sono la chiusura totale o una mezza chiusura, ma che si avvicini molto di più alle restrizioni di un lockdown che a quelle blande di adesso. Da qui l’ipotesi di un coprifuoco ad orari anticipati, chiusure ad orari stabiliti delle attività commerciali, attenzione ai luoghi di lavoro.

A cosa stiamo andando incontro, professore?

L’intervento mirato sui dati di trasmissione deve essere preso per far sì che gli ospedali non si trasformino in un lazzaretto. Abbiamo visto quello che è successo a Bergamo: i morti che non si potevano seppellire li abbiam mandati fuori dalla provincia. Se tutto questo si dovesse verificare in maniera simultanea in gran parte del Paese rischiamo di non sapere dove seppellire i nostri morti.

Per fermarsi a metà strada con le misure è necessario avere dati mirati, se le aziende territoriali non hanno questi dati si farebbe bene a prevedere una chiusura completa. Mantenerci ora con misure leggere per accorgerci che tra dieci giorni la situazione peggiora, e di molto, non può e non deve essere la soluzione».

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