Risulta positiva al tampone ma il centro analisi non contatta l’Ats. I medici di famiglia: «Attenzione ai tamponi privati»
Sono giorni convulsi. Il tentativo, spesso disperato, è quello di riconquistare un minimo di vantaggio in una difficile e assurda gara tra giganti. Da una parte l’intero Paese, dall’altra una curva epidemica dal passo troppo veloce. Da giorni si è messa a correre in salita, lasciando indietro un sistema sanitario che proprio non ce la fa. «Il monitoraggio è in tilt»: quando il capo dell’Ats di una delle regioni attualmente più a rischio contagi da Covid-19 come la Lombardia arriva a pronunciare questa frase, la responsabilità di ogni singola componente di quello stesso sistema è inevitabilmente chiamata in causa.
È per questa stessa ragione che quello che è capitato ad M., 24 anni, di Legnano, comune dell’Alto Milanese, è la dimostrazione di quanto confusione normativa e mancato buon senso continuino a minare un metodo di controllo gravemente indebolito.
La testimonianza
«Sono venuta a sapere di una mia amica positiva al tampone», comincia M., raccontando di come, non risultando nei contatti stretti della ragazza rilevati da Ats, decide per contro proprio di sottoporsi a tampone. Al centro privato Bianalisi di Legnano, accreditato con la Regione Lombardia, viene sottoposta al tampone molecolare, la procedura naso-faringea che al momento risulta essere la più certa e sicura. «Un centro sempre molto affollato e frequentato, soprattutto negli ultimi periodi», racconta M., che dopo essersi sottoposta al test, pagato 80 euro, torna a casa, nell’attesa del suo esito.
Il risultato arriva dopo tre giorni, per una diagnosi che parla di un tampone «debolmente positivo». Come spesso succede in questi casi, il “debolmente” suscita dubbi al paziente che legge il referto. Alla richiesta dunque di spiegazione da parte della ragazza, le viene specificato che, nonostante la bassa carica virale individuata, il risultato del tampone è da considerarsi comunque un positivo a tutti gli effetti. «Quando senti la parola positivo ti spaventi», dice M., «non solo per te ma per tutti i familiari che fino a quel momento hai visto e frequentato liberamente».
La prima richiesta di conferma allora che la giovane fa al centro è quella riguardante proprio l’iter di tracciamento. «Quando comunicherete il mio risultato all’Ats?», chiede M. Risposta: «Spiacenti, non trasferiamo alcun risultato all’azienda territoriale sanitaria, dovrà pensarci lei». L’operatore sanitario del centro aggiunge poi che, leggendo sul referto un “debolmente positivo”, l’esito potrebbe essere «anche quello di un falso».
«Bella rassicurazione», racconta di essersi detta M., che a quel punto decide di rivolgersi al suo medico di base per capire cosa fare. L’ipotesi proposta dalla ragazza è quello di prenotare un secondo tampone sempre nel centro privato «per verificare quantomeno l’attendibilità della carica virale risultata nel primo certificato». La reazione del medico di base arriva piuttosto chiara: «I tamponi nei centri privati devono essere evitati il più possibile – le dice -, ne vuoi fare addirittura un secondo, regalando altri soldi e rischiando di non avere né certezze d’esito né garanzia di monitoraggio?».
Sempre più confusa M. chiede a quel punto quale sia la mossa più giusta da fare. La risposta è ricominciare da capo l’iter: 10 giorni di quarantena e prenotazione al termine del tampone nell’Asl territoriale di Legnano, unica strada sicura consigliata dal medico di fiducia. «Essendomi a quel punto messa in isolamento fiduciario e volendo essere ancora più certa che dal centro in cui ero andata non sarebbe stata fatta alcuna segnalazione, ho inviato mia sorella a chiedere ulteriori informazioni», racconta provata M.
Ma anche nei due giorni successivi in cui la sorella della giovane si reca nel centro, la risposta alla domanda non cambia, anzi viene aggiunto un elemento di ulteriore confusione. «No signora, noi non segnaliamo a nessuno, non siamo autorizzati, questo è solo un primo screening», dice l’operatore sanitario di turno. Come si legge sul sito, i laboratori Bianalisi risultano fornire un «servizio di Medicina di Laboratorio autorizzato e accreditato». L’accreditamento in particolare risulta per diverse regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto, Lazio e Liguria.
Nel frattempo la conferma dell’esito tampone effettuato al centro privato, prima consegnato mediante documento cartaceo, viene inviato alla giovane anche tramite mail in risposta ad una mail di delucidazione sull’iter di segnalazione. Dopo la conferma dell’esito positivo, arriva la chiusa: «Contatti il medico di famiglia per la procedura da attuare». Un lavaggio di mani tutt’altro che anti Covid, verrebbe da dire e su cui gli stessi medici di base si mostrano piuttosto risentiti.
La risposta del centro
Per capire di più sulle reali possibilità di segnalazione e sull’iter di diagnostica seguito da Bianalisi, Open cerca di contattare più volte il centro tramite i numeri disponibili sul sito, riferiti sia al laboratorio specifico di Legnano, sia a quelli delle altre tre sedi sparse su Milano in cui è possibile accedere al servizio tamponi molecolari. Nessuna risposta. A farsi vivo tramite mail il direttore Giuliano Caslini.
«Le segnalazioni per i casi Covid non vengono fatte da noi direttamente all’Ats» esordisce il direttore, facendo riferimento a un portale regionale più ampio, «così come avviene anche per le segnalazioni di altri tipi di infezione come Hiv e simili», spiega. L’esito del tampone passerebbe dunque prima alla Regione che, «teoricamente sùbito», come aggiunge lo stesso Caslini, trasferirebbe le informazioni alle Ats sparse sul territorio.
Alla domanda fatta agli operatori sanitari del centro sull’iter di segnalazione, nessuno però fa menzione di quanto spiegato da Caslini. Su questo il direttore ribatte: «Non possiamo garantire la formazione esatta di tutti i nostri dipendenti». Infine le domande riguardo alla mail ricevuta dalla giovane: perché a richiesta di quale fosse l’iter di segnalazione non è stato risposto nulla sulla procedura presso la Regione descritta da Caslini?
Facendo invece unico riferimento al medico di base che la paziente avrebbe dovuto contattare? «Il sistema attualmente non garantisce una tempestiva e diretta segnalazione», argomenta Caslini, «per cui diamo compito al paziente di comunicare l’esito al proprio medico». Con tutti i rischi di dispersione che abbiamo prima descritto.
Intanto M., insieme a noi, si chiede: «Che vuol dire che non sono autorizzati?». E se così anche fosse, che senso avrebbe fare un tampone «che non verrà segnalato, né ritenuto abbastanza attendibile da essere preso in considerazione?». Il pericolo speculazione sarebbe in questo caso ancora una volta da dover scongiurare.
«Una palese irregolarità»
«I centri privati non possono non segnalare, è una questione di sanità pubblica e una violazione bella e buona di un obbligo previsto dalla normativa». A parlare è il dottor Domenico Crisarà, presidente della Federazione Italiana Medici di Famiglia. «Ci sono malattie che devono essere segnalate obbligatoriamente ai centri d’Igiene da qualsiasi medico, che sia una struttura pubblica o privata», spiega il dottore. Evidenziando quindi una palese irregolarità dell’iter di monitoraggio e tracciamento descritto dalla ventiquattrenne lombarda.
La sfiducia che il medico della giovane aveva espresso nei confronti di dubbie procedure da parte dei privati, è un sentimento che Crisarà conferma verso la «mancata coscienza con cui si lavora», ma che dall’altro lato non sente di poter attribuire al sistema in generale. Se è dunque vero che si tratta di una minoranza è anche vero che in una condizione di criticità come quella attuale, un rischio simile di mancato tracciamento non è ammissibile, tanto più che questo potrebbe significare anche una irresponsabilità di auto segnalazione da parte del paziente stesso.
Lo scaricabarile
L’altro messaggio che Crisarà definisce «totalmente sbagliato» è quello espresso dal centro nella mail di responso inviata a M., dove si rimette l’intera responsabilità di segnalazione al medico di base. «Questo è il problema di uno scaricabarile che non giova a nessuno, anzi ritarda enormemente il percorso», dice Crisarà.
I centri hanno dunque l’obbligo di avvisare, seppur con modalità e canali differenti a seconda della Regione in questione. Un sistema locale che in molte parti d’Italia attualmente si rivela in grosse difficoltà e che per questo «non può sobbarcarsi anche mancanze simili nell’applicazione dei pochi protocolli concordati», conclude Crisarà.
La confusione normativa
E proprio nell’aggettivo “pochi” sta l’altro tema importante. L’assenza di un protocollo unico, valido quindi per tutte le realtà sanitarie locali, pubbliche e private, porta a situazioni poco chiare e controllabili. C’è chi si appoggia alla soluzione dei laboratori, chi rimane ancora restìo come la Liguria, c’è chi cede, rinunciando ai timori, come annunciato poche ore fa dalla Regione Lazio, finora anch’essa chiusa alla possibilità di affidare i tamponi molecolari agli ambulatori privati.
La Lombardia si è aperta da tempo alla collaborazione con i centri esterni alle strutture sanitarie, prima con i sierologici e poi anche con i tamponi molecolari. A questo proposito la Delibera di Giunta Regionale 3132, emanata a maggio 2020, parla di una procedura di segnalazione chiara:
I laboratori che eseguono analisi per la ricerca di COVID segnalano alle ATS gli esiti dei test effettuati sia di biologia molecolare, sia sierologici.
E ancora:
La segnalazione da parte del laboratorio avviene, ad oggi, tramite apposito canale informatico verso il Sistema integrato DB COVID-19, che restituisce con analogo canale le informazioni ad ATS. E’ fatto obbligo ai laboratori segnalare tutti i campioni analizzati. Si raccomanda che ogni laboratorio attivi un sistema di comunicazione diretta con il cittadino (es pubblicazione sul Fascicolo Sanitario elettronico ovvero download da sistemi aziendali
Della stessa normativa fanno menzione alcuni dei principali centri privati accreditati o autorizzati di Milano e provincia. Come si legge nella descrizione dell’iter da seguire «in caso di esito positivo o debolmente positivo» del centro “Sant’Agostino” di Milano, per esempio, «la comunicazione all’Ats di competenza del risultato del test tampone molecolare, così come del sierologico anticorpale (positivo, negativo, dubbio), è in carico al laboratorio che effettua le analisi come da normativa».
Stessa cosa per il centro “Il Baluardo” Synlab di Genova. Il laboratorio della Liguria, la regione attualmente senza centri accreditati dal sistema sanitario ma comunque autorizzati a fare tamponi, dichiara che «in caso di positività al test, Baluardo procederà alla tempestiva comunicazione al Dipartimento di Prevenzione della Asl» e allo stesso tempo «contatterà il paziente per informarlo delle azioni conseguenti».
Aggirare la norma scaricando sul paziente la responsabilità di comunicare tutto alle autorità sanitarie non può essere dunque una strategia vincente. Non solo per il sistema di tracciamento e per un carico di lavoro che al momento schiaccia anche gli stessi medici di base. Ma anche per un iter che di fatto potrebbe tranquillamente fermarsi alla comunicazione dell’esito, laddove il paziente in questione decidesse di non andare avanti nel percorso diagnostico e di continuare a vivere come se nulla fosse, a maggior ragione se asintomatico. Pericoli e rischi che, nel pieno di una seconda e profonda emergenza sanitaria, non possiamo affatto permetterci.
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