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Dopo un anno di proteste in Cile si vota per cambiare la costituzione varata con Pinochet

Oggi i cileni decidono se scrivere una nuova Costituzione nel segno della lotta alle disuguaglianze che dall’ottobre del 2019 ha visto scendere in piazza decine di migliaia di persone, a partire dagli studenti nella capitale Santiago

Per alcuni si tratta di un feticcio di un’epoca segnata dalla dittatura, per altri invece è il manifesto di un sistema neo-liberale che ha portato il Cile ad essere uno dei paesi più ricchi e, fino a poco tempo fa, politicamente più stabili dell’America Latina. La costituzione varata a inizio degli anni Ottanta, quando alla guida del Paese c’era Augusto Pinochet, continua a dividere i cileni. Domenica potranno dire la loro e, almeno simbolicamente, tagliare il cordone ombelicale che li lega a un passato caratterizzato da torture, incarcerazioni di massa e persecuzioni politiche. Il Cile però vive ancora nell’incubo di quel passato. Il voto infatti arriva non soltanto nel mezzo dell’emergenza Coronavirus che ha messo nuovamente in discussione la tenuta del governo di Sebastián Piñera, portando alle dimissioni del ministro della Salute, ma anche dopo mesi di proteste contro le disuguaglianze che sono state represse con una violenza che ricorda gli anni più bui della dittatura di Pinochet.

La prospettiva dei giovani

ANSA – EPA/Elviz Gonzalez | Scontri tra i manifestanti e la polizia a Santiago, 23 ottobre 2020

A far scattare le proteste prima ancora che la Covid-19 avesse un nome era stato l’aumento nel prezzo dei biglietti della metropolitana a Santiago, la capitale. I primi a protestare, trasformando il rincaro in un simbolo delle ingiustizie dell’epoca Piñera erano stati gli studenti dell’Istituto nazionale, la scuola pubblica più antica e prestigiosa della capitale che per decenni aveva contribuito a formare la classe dirigente del Paese. Come spiega al telefono Sofia Lanyon, rappresentante di Amnesty International nel Paese, «i giovani di oggi sono nati sotto la democrazia e hanno molto meno paura di esprimere la propria opinione politica rispetto alla mia generazione. Sono anche molto consapevoli delle disuguaglianze che colpiscono loro e le loro famiglie». «Recentemente – continua Lanyon – mi sono commossa guardando un’intervista di un ragazzino che raccontava come i suoi nonni non riescano a mantenersi con la pensione anche se hanno lavorato tutta la vita e come la sua famiglia continui ad indebitarsi per pagare i suoi studi».

Nonostante il Cile sia uno dei Paesi più ricchi della regione, è anche uno dei più diseguali. La diffusa privatizzazione del sistema sanitario e dell’istruzione, insieme ai crescenti costi dei beni e dei servizi di base, hanno portato all’aumento delle disuguaglianze nonostante i salari siano aumentati, anche tra i ceti più poveri, nel corso dell’ultima decade come mostrano i dati dell’Oecd. Infatti le proteste si sono presto allargate e al fianco degli studenti a Plaza Italia – ribattezzata Piazza della Dignità, primo epicentro delle proteste – sono arrivate persone di ogni età ed estrazione sociale.

A ottobre centinaia di migliaia di persone si sono unite alle proteste. Repentinamente è aumentato anche il numero di feriti. Le storie e testimonianze che arrivano dal paese raccontano di una repressione brutale portata avanti dalla forze di polizia. Secondo un recente rapporto di Amnesty, tra il 18 ottobre e il 30 novembre oltre 12.500 persone sono finite al pronto soccorso a causa di ferite riportate durante le proteste. I casi di violenze sessuali, le lamentele di abusi e di minacce ricevute sono nell’ordine delle centinaia soltanto per quel periodo. Non sono stati risparmiati neppure i bambini e i teenager. Così, anche i membri della generazione più giovane che per primi sono scesi in piazza hanno imparato ad avere paura.

La responsabilità per la violenza va attribuita in larga parte ai carabineros, la polizia civile a cui spetta il compito di mantenere l’ordine pubblico. Ma, come spiega Sofia Lanyon, non sono formati per ridurre l’escalation, anzi. «Il rapporto tra questi gruppi di polizia e il resto della società non è davvero cambiato con la fine della dittatura. Non operano alcuna distinzione tra le manifestazioni pacifiche e atti criminali o di vandalismo. Sono gli stessi agenti che hanno formato le forze di polizia che hanno portato avanti repressioni brutali anche in Colombia. A differenza di altri gruppi di polizia, nel loro caso manca fondamentalmente il rispetto dei diritti umani».

Un voto per cancellare il passato

ANSA – EPA/ Sebastian Pinera, 18 marzo 2020

Dopo aver dichiarato lo stato d’emergenza, ancora prima dell’arrivo del Coronavirus, per tentare di sedare le proteste Piñera ha presentato un nuovo pacchetto di misure di welfare e a fine ottobre ha sostituito ben otto ministri nel suo governo. Tra loro c’era anche Andrés Chadwick, che aveva cominciato la sua carriera politica ai tempi di Pinochet. Poi, a metà novembre, a circa un mese dall’inizio delle proteste, il congresso cileno ha approvato il referendum costituzionale, inizialmente per il mese di aprile. Con l’arrivo del Coronavirus e del lockdown, il voto è stato rimandato ad ottobre. Ma le proteste non si sono fermate.

La settimana scorsa, in occasione dell’anniversario delle prime proteste, decine di migliaia di persone hanno manifestato a Santiago. Per un giorno nella città era tornato il clima di festa e di catarsi con cui era iniziata la “rivolta” l’anno prima. Molti manifestanti sono scesi in strada anche il giorno successivo ma l’entusiasmo ha ceduto il passo al caos quando la guglia di una chiesa ha preso fuoco, crollando. Come ha raccontato a Open il giornalista John Bartlett, che era presente sul luogo, diversi manifestanti hanno accusato il governo e in particolare i carabineros di aver appiccato il fuoco per screditare le manifestazioni.

L’atmosfera nel Paese è comunque ben distante dal 1980. Quando la costituzione era stata approvata, 7 anni dopo il colpo di stato di Pinochet, il Paese era in stato di emergenza e tutti i partiti politici erano illegali. All’opposizione era stato concesso un solo giorno per manifestare e la manifestazione non era neppure stata trasmessa in televisione. Il principale autore della costituzione, il giurista Jaime Guzmán immaginava un’eventuale transizione a un regime democratico e capitalista, ma per anni i tentativi di riforma erano stati bloccati dal Tribunale costituzionale.

Da allora e a partire dai primi anni duemila la costituzione è stata modificata, ma non è mai stata riscritta, come ha sempre desiderato la sinistra cilena. «Le aspettative tra i manifestanti sono incredibilmente alte – racconta Bartlett -. Ci sono chiare omissioni in termini di politiche di welfare che molte persone vorrebbero correggere. Il diritto alla casa non è sancito dalla costituzione, che piuttosto apre le porte dell’economia alle privatizzazioni, alla deregolamentazione e santifica la proprietà privata. Inoltre, non corregge molte delle forme di segregazione geografica e culturale nel Paese. Il popolo amerindo dei Mapuche, per esempio, non è riconosciuto».

Il voto di domenica potrebbe rappresentare un primo passo in una nuova direzione, ma la strada rimane ancora lunga. Ci vorranno mesi, eventualmente, per riscrivere la costituzione, e un’ampia maggioranza per approvarli. Domenica i cittadini cileni dovranno scegliere anche quale combinazione, tra esponenti della società civile e deputati, sarà incaricata di riscriverla. Per il momento, non è previsto che la nuova costituzione riveda il ruolo e imponga nuovi limiti alla polizia, ma, nonostante questo, Sofia Lanyon rimane ottimista.

«Penso che l’attuale costituzione – sebbene non sia esattamente lo stesso testo che avevamo nel 1980, quando fu approvata durante la dittatura – premia soltanto una minoranza di persone. In questo senso è un documento che divide la nostra società invece di unirci, e penso la maggioranza dei cileni lo capisca».

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