Rivolte a Napoli, Roberto Saviano: «La camorra non c’entra, è disperazione. De Luca? Responsabile del disastro della sanità» – L’intervista
La seconda ondata del Coronavirus è arrivata, come nel resto di Europa, anche in Italia. E ha mostrato, come sette mesi fa, tutte le criticità dell’organizzazione statale e regionale nel rispondere alla crisi. Alla stregua di quanto accaduto nella prima fase della pandemia, le Regioni si sono mosse autonomamente per introdurre misure di contenimento, senza aspettare un coordinamento centrale che risulta lento e macchinoso a causa degli equilibri politici da mantenere. Vincenzo De Luca, tra i governatori più attivi nella comunicazione, ha annunciato, il 23 ottobre, l’introduzione di un lockdown.
I nervi della popolazione campana non hanno retto: sui social sono nati gruppi di protesta e si sono dati appuntamento in diverse zone della regione. A Napoli, le manifestazioni contro le chiusure ipotizzate da De Luca sono degenerante in disordini e aggressioni contro gli uomini delle forze dell’ordine e i giornalisti. Una fiumara di persone ha incendiato cassonetti, spaccato automobili e lanciato oggetti contro agenti e passanti atterriti. Roberto Saviano, giornalista e scrittore che conosce bene la società partenopea, a differenza di molti commentatori e politici, esclude la regia della Camorra dietro la guerriglia di Napoli del 23 ottobre.
La protesta violenta che ieri ha coinvolto la Campania è solo figlia della frustrazione, della rabbia o c’è dell’altro?
«Non penso che ci sia un’organizzazione criminale, i militanti fascisti o gli ultrà dietro la protesta. In realtà, queste sono scorie che si sono agganciate alla disperazione. La situazione è drammatica e scoppia a Napoli perché al Sud si trova la parte del Paese più fragile. Sono finiti i pochi risparmi che si avevano e l’equilibrio non ha retto».
Questi sentimenti, ascrivibili all’odio verso la società, scaturiscono nei comportamenti criminali, dando origine alle organizzazioni malavitose o sono, piuttosto, strumentalizzati dalla camorra a posteriori?
«Sono sentimenti strumentalizzati dalla camorra. Teniamo presente che è consuetudine dei pregiudicati sfruttare le situazioni di questo genere. È la stessa dinamica dei conflitti ultrà: per andare a menare la polizia, per sfasciare tutto, ti vesti da tifoso e lo fai. È fondamentale ricordare, però, che le organizzazioni criminali guadagnano tantissimo dal lockdown».
Possiamo dunque escludere che nella protesta di ieri c’erano infiltrazioni della criminalità organizzata?
«Si può dire che c’era la presenza di pregiudicati: in un territorio come quello di Napoli, quando ci sono proteste, è pressoché normale che accada. Le organizzazioni criminali non vanno monoliticamente a trattare un tema. Così come le organizzazioni più complesse, i camorristi guadagnano dal lockdown: fanno prestiti, acquistano aziende e ristoranti che stanno fallendo. Tra l’altro, durante il lockdown, i prezzi della marijuana non schizzano come si immagina, ma comunque si hanno dei vantaggi. Già si sta dicendo “siccome il lockdown chiude le piazze di spaccio, questi si ribellano”. In realtà, si tratta di una lettura troppo veloce, persino miope. Certo, esiste una parte di criminalità organizzata, quella più fragile, che si aggancia a questi episodi, per rabbia più che altro. Tornando alla domanda, però, la risposta è: abbiamo prove della presenza di pregiudicati, ma non di infiltrazioni della criminalità organizzata».
Quanto una gestione inefficace di una situazione di emergenza, in questo caso sanitaria, può diventare terreno di proliferazione della criminalità organizzata?
«Le istituzioni italiane sono state completamente incapaci di fermare la conquista criminale. Quindi sì, sta proliferando, eccome. Del resto, De Luca risulta il papà benevolo che dà scapaccioni per disciplinarti e, quindi, salvarti la vita. In realtà, è il responsabile del disastro sanitario campano. Attenzione, non l’unico responsabile, ma lui è corresponsabile della sanità campana, che è terribile: tutta fondata sul comportamento eroico dei singoli individui e De Luca lo sa benissimo. Negli ultimi anni, ha tagliato e devastato: la sanità è peggiorata».
Le immagini dei giornalisti aggrediti, delle forze dell’ordine malmenate, dei simboli dello Stato umiliati, indeboliscono le ragioni del malcontento o servono alla narrazione della criminalità per giustificare la devastazione?
«Le violenze di ieri sono tipiche violenze in stile ultrà: spaccare tutto, aggredire tutti indistintamente. È uno schifo, come quando si rompe una vescica ed esce il pus. È sempre sbagliato un comportamento del genere ed è ingiustificabile».
Come sono vissuti questi momenti, invece, dalla società civile napoletana e campana?
«C’è un pezzo di sinistra che la leggerà nell’ottica di “animali, fascisti, violenti, ultrà”. C’è una parte della destra che farà uno slancio solidale. Osservando soltanto la parte in superficie, però, rischiamo di perdere la cosa più importante da capire. Al netto delle violenze che, ovviamente, vanno stigmatizzate e della solidarietà che va data alle persone che hanno pagato con le botte il tentativo di contenere o raccontare quello che è successo, le ragioni logiche che portano a questa rivolta vanno affrontate. Ma lo stanno facendo soltanto in pochi».
C’è una responsabilità politica per quanto accaduto?
«Una responsabilità enorme: le casse integrazioni mancano, non ci sono piani per il Sud dove buona parte delle persone lavora a nero, la capacità diagnostica con i tamponi e il tracciamento sono saltati. C’è gente che non può uscire di casa perché non gli viene fatto il secondo tampone… File infinite. Telefonate che non ricevono risposta. Il disastro è totale: c’è stata incapacità organizzativa. Conte, nel suo ultimo discorso, ha semplicemente elencato le cose buone che ha fatto. Di cosa stiamo parlando? La gestione è stata pessima e la situazione è drammatica. Non si può utilizzare l’eroismo individuale di medici e infermieri per sintetizzare la propria attività politica. No, l’attività politica è stata un disastro, soprattutto un disastro economico».
Cosa bisogna aspettarsi nei prossimi giorni e c’è un modo per evitare che questa violenza defluisca di nuovo per le strade di Napoli?
«Bisogna aspettarsi ciò che ci si aspetta sempre quando queste cose accadono in Italia e in particolare a Napoli. Napoli ha questo destino: anticipare le logiche, le tendenze, anticipare tutto quello che accade in Italia e, va detto, anche in Europa. Sul piano culturale, sul piano politico, molte cose accadute a Napoli hanno anticipato anche movimenti politici e tendenze politiche nelle capitali arabe. Al di là di questo, Napoli continua a essere un laboratorio. Quindi, oggi accade a Napoli, domani accadrà nel resto di Italia e di Europa. Si poteva fare qualcosa? Forse. Di certo non si può più fare qualcosa: è troppo tardi».
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