«Cinema e teatro sono sicuri. La chiusura? Coprifuoco mascherato». Il mondo dello spettacolo contro il nuovo Dpcm
Cinema e teatri «non dovevano chiudere». Direttori artistici, associazioni di categoria, attori, titolari delle sale cinematografiche sembrano essere tutti d’accordo, o meglio, tutti contrari alla norma del nuovo Dpcm sull’emergenza Coronavirus che fa calare il sipario e spegne i proiettori. E la questione è tutt’altro che economica: «Anche se il governo coprirà le perdite delle strutture, i soldi non c’entrano – afferma Andrée Ruth Shammah, regista e storica direttrice del teatro Franco Parenti di Milano-. C’entra il nostro rapporto con il pubblico, farlo sentire felice di condividere un momento collettivo e sicuro. Certo, è importante il riconoscimento economico, ma il riconoscimento della nostra funzione sociale lo è molto di più».
La regista è tra le prime firmatarie della lettera indirizzata al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e al ministro per i Beni culturali Dario Franceschini. L’appello, intitolato Vissi d’arte, a poche ore dall’annuncio del Dpcm ha già raccolto 30 mila firme. L’ultimo dei sei punti «è il più importante in assoluto – si legge -. Chi opera nel settore della cultura è consapevole dell’importanza che essa ricopre soprattutto in momenti difficili come quello che ci troviamo ad affrontare. Sarebbe un grave danno per i cittadini privarli della possibilità di sognare e di farsi trasportare lontano oltre i confini della propria quotidianità».
L’assenza di evidenze scientifiche
Ciò che sorprende i protagonisti del mondo dello spettacolo è che la scelta del governo non sia avvalorata da evidenze statistiche. L’arte invoca la scienza: «Da quando abbiamo riaperto, lo scorso giugno, non si è mai verificato un cluster nelle sale cinematografiche – ripete Mario Lorini, presidente dell’Associazione nazionale esercenti cinema -. È un dato certo, perché i cinema tracciano gli spettatori per 14 giorni. Ci sono tutti i presupposti per definire cinema e teatri i luoghi più sicuri della socialità: le grandi volumetrie delle sale, il distanziamento ben organizzato, la visione dello spettacolo vissuta come un momento spirituale in cui le persone non parlano, ma assistono fermi e in silenzio».
Lorini si dice amareggiato, proprio per il rigore con cui il mondo dello spettacolo aveva inglobato le misure di prevenzione più stringenti, dimostrando di poter far convivere cultura e sicurezza sanitaria: «Cinema e teatri si sono distinti per la resilienza. Nonostante le perdite del settore, che non si è mai ripreso dopo il primo lockdown, sono rimasti aperti per offrire occasioni di cultura alla popolazione».
L’indagine
L’Associazione generale italiana dello spettacolo ha portato avanti un’indagine per dimostrare la sicurezza di teatri e sale. Sono stati monitorati ben 347.262 spettatori che hanno preso parte a spettacoli di lirica, prosa, danza e concerti, con una media di 130 presenze ad evento, dal giorno della riapertura dopo il lockdown, il 15 giugno, al 3 ottobre. Il risultato? Un solo caso di contagio segnalato dalle Aziende sanitarie territoriali. Non si riesce a spiegare con i dati, dunque, la natura del provvedimento del governo che chiude cinema e teatri fino al 24 novembre.
Fonti interne al Teatro alla Scala dicono «che il tentativo sembrerebbe quello di salvare la data del 7 dicembre», la “Prima” della Scala. «È sbagliato chiudere i teatri – chiosa Shammah -. Se servisse ad abbassare la curva dei contagi, allora sarebbe un provvedimento sacrosanto. Se il governo avesse deciso di introdurre un coprifuoco dalle ore 20, avrei capito il senso della chiusura per evitare gli spostamenti delle persone. Ma il dpcm non va in questa direzione e sento che la nostra chiusura non sarà d’aiuto alla questione sanitaria».
«La salute – continua la direttrice del Teatro Franco Parenti -, non è solo quella del corpo: l’uomo è fatto da tante cose e va tutelata anche la sua salute mentale, spirituale. Il governo non ha riconosciuto questa funzione del teatro». L’unica interpretazione che il presidente dell’Associazione nazionale esercenti cinema riesce a dare alla chiusura delle sale, è quella del «coprifuoco mascherato»: se il governo sceglie di impedire ogni attività sociale, dalle 18 in poi, è come togliere ai cittadini qualsiasi motivazione per uscire di casa.
Senza utilizzare il termine “coprifuoco”, più impegnativo dal punto di vista degli equilibri politici. «Forse l’unica spiegazione che riesco a dare – conclude Lorini – è quella di voler limitare gli spostamenti delle persone. Per il resto, è una scelta che non possiamo comprendere, ma solo accettare per il fine primario di salvaguardare la salute pubblica».
Gli sforzi annullati
Giacomo Calderelli, tra le anime del nuovo cinema PostModernissimo di Perugia, ritiene che uno dei problemi principali dell’annuncio di Conte sia quello di aver riacceso la paura dei cittadini verso cinema e teatri: «Avevamo fatto molto per far capire, attraverso il rispetto rigido dei protocolli, che le sale erano un luogo sicuro. La stagione si stava riprendendo proprio perché era passato un messaggio di sicurezza. Conte ci ha fatto sentire un po’ soli».
Caldarelli racconta la difficoltà di aver dovuto «combattere contro il gigante mediatico del Covid. Per le singole sale è stato difficilissimo raccontare una storia diversa da quella delle prime pagine dei giornali», ovvero che cinema e teatri non erano luoghi di possibile contagio, a differenza di tante altre occasioni di socialità che hanno contribuito alla recrudescenza del virus. E aggiunge: «Se chiudi i cinema e i teatri, allora stai asserendo che non sono luoghi sicuri».
Cinzia Spanò sta camminando verso il Teatro Elfo Puccini di Milano: la sera del 25 ottobre reciterà nell’ultima replica dello spettacolo Tutto quello che volevo. Si ferma e riflette sul Dpcm appena emanato: «Quando, a marzo, c’è stata la prima chiusura, non mi sono pronunciata – racconta l’attrice -. La pandemia era così sorprendente che la chiusura dei teatri mi è sembrata fisiologica e l’ho accettata. Questa volta qui non ce la faccio a capire la scelta del governo». Spanò rivela quello che ha potuto osservare lei, stando sul palco: gel igienizzante ovunque, sale a capienza ridotta, con meno della metà dei posti disponibili occupati, e spettatori ligi nel tenere su la mascherina.
La questione sussidi
«La pandemia non finirà domani. Per questo serve verificare l’efficacia dei protocolli, per capire come far convivere le varie attività con la presenza del virus. Ebbene – afferma – nei teatri quei protocolli hanno funzionato. Un solo contagio da giugno a oggi: perché sono stati chiusi?». Spanò rammenta lo sforzo economico fatto dai titolari delle strutture per adeguarle agli standard di sicurezza. Va detto che il ministero per i Beni culturali, anche a settembre e ottobre, ha dato sussidi a cinema e teatri per sostenerne la ripresa. «Ma se gli attori non salgono sul palco, i teatri non possono pagarli. Intanto, stiamo ancora aspettando i mille euro dei mesi di giugno e luglio: così non ce la facciamo». Spanò chiede più attenzione per i lavoratori del mondo dello spettacolo, «per tutti, non solo per gli artisti».
Ha tante perplessità sull’ultimo provvedimento del governo. Ma ci tiene a precisare che «i teatri non si tengono aperti solo per un problema occupazionale, ma perché rappresentano una forma di resistenza. È l’attività più antica dell’uomo quella di raccontare storie, sono luoghi di ispirazione. Non critico la scelta di tenere aperti i luoghi di culto. Ma anche il teatro, ricordatelo, è un luogo di culto dove avviene uno degli ultimi riti laici concessi all’uomo».
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