Il Dpcm spegne i microfoni, Bebo (Lo Stato Sociale): «Forse è il governo a non aver capito la gravità della situazione» – L’intervista
La sollevazione del mondo dello spettacolo, forte ma pacifica, non si ferma. Al tema puramente economico si interseca quello valoriale dell’arte: teatri e cinema, sostengono i protagonisti del settore, rappresentano una cura spirituale che non doveva essere interrotta, soprattutto mentre i cittadini si trovano a vivere, di nuovo, una situazione provante con l’emergenza Coronavirus. Non è stato digerito il dpcm firmato il 24 ottobre, che prescrive la chiusura dei luoghi della cultura. Non si tratta, tuttavia, di una questione di pancia. Ma di testa: produttori cinematografici, artisti, esercenti dello spettacolo dal vivo non comprendono le ragioni della serrata impostagli, dato che nelle sale e nelle platee, da metà giugno a metà ottobre, a fronte di centinaia di migliaia di spettatori è stato riscontrato solo un caso di contagio. Bebo, soprannome di Alberto Guidetti, fondatore della band Lo Stato Sociale, si rivolge al governo: «Abbiate il coraggio di ammettere i vostri errori».
Il musicista racconta a Open il suo dispiacere per le parole del ministro per i Beni culturali Dario Franceschini. All’appello, va detto, civilissimo di personaggi del calibro di Riccardo Muti, Giuseppe Laterza, Andrée Ruth Shammah, Enrico Lo Verso, il membro dell’esecutivo ha reagito sostenendo che «chi critica non ha capito la gravità della situazione che stiamo vivendo». «Non è che è il governo – dice Bebo -, a non aver capito per tempo la gravità della situazione, intervenendo prima che si arrivasse a questa situazione sanitaria?».
Bebo, perché non condividi il messaggio di Franceschini che invita le star della cultura a contribuire alla coesione sociale, chiedendovi insomma di non alimentare le proteste?
«Forse perché non mi sono mai sentito una star. Per indole, tendo a fidarmi delle istituzioni, ma ciò è ben diverso dal fidarsi dei governi. Che Franceschini faccia o meno un video in cui sostanzialmente ci dice “attaccatevi al tram”, ci interessa poco. Noi seguiamo ciò che dice il dpcm, non quanto afferma in un video su Facebook il ministro per i Beni culturali».
Ritieni che le parole del ministro siano inopportune?
«Un’uscita come quella di Franceschini, al di là del giudizio qualitativo che si può darle, mi risulta superflua. Gli artisti, come tutte le persone, rispondono alle leggi, e in questo caso le norme sono contenute nel dpcm. Invece, per tutto ciò che è ascrivibile all’opinione, noi continueremo a esprimerla. Questo dpcm è infelice e abbiamo il diritto e il dovere di dichiararlo. Crea scontento, crea malumore ed è normale che gli artisti, civilmente, protestino. Voglio sperare che non si aspettassero davvero un popolo muto».
Cosa hai provato dopo lo stop agli spettacoli dal vivo?
«Sono ovviamente dispiaciuto e amareggiato. Come spesso accade, si tende a guardare un Paese a più velocità. I numeri del contagio ci dicono che è giusto scoraggiare la mobilità delle persone, ma invece di intervenire sui settori che provocano gli spostamenti maggiori, si punisce ancora una volta la socialità. Noi artisti ci occupiamo del tempo libero e di dare quel tipo di sollievo all’esistenza altrui: per il governo, questo aspetto era sacrificabile, ma a volte nutrire l’anima ha un effetto positivo al pari delle terapie mediche. Ad ogni modo, ci hanno detto di fermarci e noi, da bravi cittadini, ci fermiamo».
Anche l’andare al teatro e al cinema comporta una mobilità delle persone.
«Da quando è finito il lockdown, i numeri che facevano gli spettacoli non erano di certo quelli di uno stadio. Allora la domanda è un’altra: perché lasciare che le persone si accalchino sui mezzi di trasporto o sulle linee di produzione in fabbrica? Non vedo tutti questi controlli e restrizioni sul trasporto pubblico, tantomeno nelle aziende private. Il mondo dello spettacolo, nel bene e in questo caso nel male, è sempre sotto la luce dei riflettori. Per sintetizzare, trovo paradossale, se la linea è ridurre la socialità, chiudere cinema, teatri e sale da concerto anziché intervenire laddove la vita quotidiana fa spostare milioni di persone».
Non condividi la linea del governo. Perché?
«Il sistema sanitario era al tracollo, e hanno impiegato risorse per il bonus per andare in vacanza, non hanno migliorato i sistemi di trasporto pubblici, e hanno speso denaro per il bonus monopattino. Le proteste che si stanno sollevando derivano anche dal fatto che chi ha avuto il potere di far andare meglio le cose, e non l’ha fatto, adesso non ha il coraggio di ammettere i propri errori».
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