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Massimo Polidoro racconta James Randi e la scienza dell’inganno, per indagare sui misteri e le bufale

27 Ottobre 2020 - 10:37 Juanne Pili
A scuola di metodo scientifico e magia

Il 20 ottobre è scomparsa una delle figure più iconiche per chi come noi del progetto Fact checking, da anni si occupa di denunciare la disinformazione, indagando sui meccanismi che portano a credere nei falsi miti, e nei cosiddetti misteri insoluti. James Randi aveva portato le sue conoscenze di illusionista e prestidigitatore nell’ambito scientifico, aiutando gli esperti a porsi le domande giuste, di fronte a fenomeni che fino a non molto tempo fa erano ritenuti plausibili – persino dagli scienziati – come il paranormale, la parapsicologia e persino lo spiritismo.

La lotta di Randi contro tutte quelle figure che si approfittavano della creduloneria altrui, spacciando banali trucchi di illusionismo per poteri paranormali, ha ispirato poi Piero Angela nella fondazione nel 1989 assieme a un primo gruppo ristretto di persone, del CICAP (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale); in seguito l’ultima «P» è finita per indicare più in generale le «pseudoscienze».

Poco prima della fondazione del Comitato, un giovanissimo Massimo Polidoro inviò una lettera ad Angela esprimendo le sue idee e curiosità sul modo di indagare i misteri attraverso il metodo scientifico, come divulgato da Angela e Randi nei loro primi libri sul tema. Finisce così a soli diciotto anni per diventare il primo e unico allievo del grande illusionista americano di origine canadese, per quanto riguarda lo studio e le indagini sui trucchi dei cosiddetti medium, che sostenevano di avere poteri extra-sensoriali.

Piero Angela, Massimo Polidoro e James Randi durante un convegno a New York nei primi anni ’90.

L’apprendista Polidoro racconta a Open gli insegnamenti del maestro Randi

Polidoro, attualmente segretario del CICAP, forte della preparazione acquisita assieme a Randi fin da ragazzo, è una delle persone più informate sul grande illusionista. Lo stesso modo in cui è cominciata la sua avventura, partendo assieme al Maestro negli Stati Uniti a soli 18 anni (era la prima volta che prendeva un aereo) ha dell’incredibile.

«Ho avuto la grande fortuna di essere stato sempre incoraggiato in tutte le mie passioni. Sono stato un bambino sempre pro-attivo, non aspettavo che arrivassero i divertimenti, mi inventavo giochi di ogni tipo, ma anche cose più impegnative, come creare una Fanzine dedicata ai Beatles, che stampavo e distribuivo. Tra queste passioni anche quella sul paranormale, soprattutto dopo il libro di Piero Angela sul tema, guardando questi fenomeni sempre con uno spirito critico; facevo giochi di prestigio e mi è capitato anche di esibirmi in pubblico».

Poi è arrivato l’incontro decisivo con Piero Angela e James Randi.

«Per primo ho conosciuto Piero Angela a Roma, perché c’era l’idea di costruire il CICAP; lui aveva risposto molto gentilmente a una mia lettera coinvolgendomi nella prima riunione; poi era arrivato Randi in Italia nel 1988, e quando mi hanno fatto questa proposta chiaramente ne parlai a casa. Certo c’è stato un momento di grande emozione ed entusiasmo, poi mia madre ha conosciuto Piero e Randi, e ha capito che erano persone affidabili».

«Randi ha avuto nel corso degli anni degli allievi per quanto riguarda la magia e l’illusionismo, quando ancora faceva le tourné come mago, quindi parliamo degli anni ’60-’70. Poi la sua attività principale è diventata quella di indagare per smascherare le bufale e i ciarlatani. Nell’indagine dei misteri sono stato il suo unico allievo».

«Lui sin da ragazzino si era reso conto che la gente finiva per credere a fandonie assolute perché si lasciava ingannare da giochi di prestigio. Un prestigiatore ha competenze sull’inganno, anche se si tratta di un artista che non nega di usare dei trucchi. Non a caso il film a lui dedicato qualche anno fa si intitola “Un onesto bugiardo”, si può vedere su Amazon Prime Video».

Come è stato vivere a stretto contatto con Randi? Era un maestro severo? Capitava che ti sgridasse?

«Sì capitava anche quello – ride – ma non è che mi sgridava, però quando capitava che per esempio non avevo fatto qualcosa che dovevo fare, me lo faceva notare anche in maniera decisa. Inizialmente il rapporto era proprio quello di un maestro col suo apprendista».

«Nel periodo che ho vissuto con lui abbiamo avuto la possibilità di fare diversi esperimenti su tanti sensitivi, anche per i suoi programmi Tv. Abbiamo viaggiato molto nei luoghi che avevano storie incredibili per condurre delle ricerche. Poi l’ho aiutato nella stesura di un paio di libri che lui stava scrivendo; è stata un’esperienza che mi è servita anche per la ricerca e la scrittura. Una delle cose che mi divertiva di più era mettere ordine nel suo archivio, dove si trovavano tonnellate di materiali, fotografie e documenti, su storie incredibili in cui lui è stato a volte coinvolto in prima persona».

«Randi è stato uno dei primi in America ad avere un videoregistratore in casa, di quelli ancora enormi che si usavano negli anni ’60; se ne serviva per rivedere i programmi dove andavano i sensitivi, per studiare e capirne i trucchi, come quelli di Uri Geller, quindi c’era anche una biblioteca di materiale video che ho esaminato, e di tutto questo mi sono fatto anche delle copie».

Randi e Polidoro a Stonehenge, durante le riprese per uno speciale televisivo (1989).

Anche il lavoro di archivio può dare una forma mentis importante per un indagatore di misteri?

«Sì assolutamente, perché per mettere ordine devi capire, devi studiare, farti raccontare da Randi cosa è successo, perché alcune spiegazioni sono tra le righe, o in sfumature che non si trovano negli articoli e nei libri».

Ricordando Randi non abbiamo resistito dal notare in lui una sorta di erede dei Harry Houdini, anch’esso un grande illusionista che si diede poi alla lotta contro i ciarlatani. È forse una iperbole?

«Non è un’iperbole. Randi stesso quando faceva l’illusionista e il mago è stato quasi un emulo di Houdini. Faceva le stesse cose, è riuscito anche a fuggire da 36 carceri diverse, negli Stati Uniti e non solo. Prigioni vere, dove veniva chiuso in celle ammanettato e incatenato. Quelle sono storie incredibili. Quando me le raccontava e le ricostruivamo insieme c’era davvero da vedere il genio. Perché ci vuole davvero del genio per fare cose del genere».

«Houdini negli ultimi anni della sua vita, a partire dagli anni ’20, dopo essere diventato amico di Arthur Conan Doyle si era avvicinato, in maniera anche aperta, al mondo dello spiritismo, poi ogni volta che andava ad assistere a qualche seduta spiritica, si rendeva conto che venivano messi in scena dei trucchi, anche molto grossolani, ma le persone che ci andavano erano talmente soggiogate o comunque desiderose di avere un contatto con chi non c’era più, che non si accorgevano di niente. Così dopo un po’ si è stufato e ha cominciato a smascherarle». 

Qual è allora la principale differenza tra Houdini e Randi nella lotta contro le pseudoscienze?

«Randi ha portato qualcosa in più. Non è solo lo smascheramento. Randi porta l’approccio scientifico in questo campo, cosa che invece Houdini non faceva, perché di Scienza ne capiva poco, però aveva un approccio più aggressivo, che andava bene per parlarne sui giornali. Randi invece è stato considerato da moltissimi scienziati uno scienziato lui stesso. È stato proposto dal premio Nobel Murray Gell-Mann per lauree honoris causa, ha vinto un premio della fondazione MacArthur, che viene assegnato a ricercatori e scienziati. In ambito scientifico è stato visto come una risorsa fondamentale. È stato coinvolto da Nature nell’indagine sulla memoria dell’acqua, e così in tanti altri casi».

«Quindi Randi porta questo elemento in più: l’approccio scientifico che però non si limita all’esperimento, ma si avvantaggia delle competenze che ha un ingannatore di professione, perché come ripeteva spesso, il chimico e il fisico hanno a che fare con provette e protoni, che non imbrogliano, mentre se hai a che fare con un medium o un sensitivo, l’inganno è sempre dietro l’angolo. Chi non conosce queste tecniche potrebbe farsi abbindolare, anche se è un premio Nobel».

Roberta Baria | James Randi, Massimo Polidoro e Piero Angela al CICAP Fest “numero zero” di Cesena, nel 2017: fu un’occasione per ricordare i 40 anni dall’inchiesta di Piero Angela sulla parapsicologia, a cui Randi aveva contribuito, e fu l’ultimo viaggio all’estero di Randi.

Houdini inizialmente voleva credere nello spiritismo, nella speranza di poter comunicare con la madre defunta, salvo poi restarne deluso. Quale fu invece la molla che fece scattare la passione di Randi?

«C’è una bella storia che lui raccontava sempre. Da bambino Randi aveva un QI superiore alla norma, quindi succedeva che in classe si annoiava subito, e gli diedero il permesso di andare a scuola solo per sostenere direttamente gli esami. Così passava il tempo andando in biblioteca a studiare per conto suo, ma anche a fare esperienze di vari tipi. Allora una volta è andato in una sorta di chiesa spiritista, ad assistere alle manifestazioni di un tizio che sosteneva di parlare con gli spiriti. Osservandolo vedeva che i partecipanti, tutti fedeli, scrivevano su dei bigliettini delle domande da fare agli spiriti, e il medium prendeva un biglietto alla volta, lo metteva sulla fronte, invocava lo spirito e rispondeva alla domanda, in apparenza senza averlo letto».

«Randi che quel trucco lo conosceva benissimo, avendolo imparato dalla sua passione per i giochi di prestigio, aveva capito che cosa succedeva. Il medium in realtà aveva un complice che scriveva la prima domanda sulla quale si erano messi d’accordo. Estraeva un bigliettino a caso e dopo aver risposto a quella prima domanda lo apriva, scoprendo in realtà la domanda successiva; e così via con gli altri. Alla fine il medium doveva inserire di nascosto il bigliettino con la prima domanda. Il trucco si chiama non a caso “un passo avanti”».

«Il piccolo Randi lo aveva capito al volo. Allora cosa fa? Si alza in piedi e protesta (avrà avuto dieci anni), svelando il trucco. Così è finita che l’hanno portato alla centrale di polizia. Quella è stata l’occasione in cui si è detto “va bene, questa è la cosa peggiore che potevate farmi, d’ora in poi mi dedicherò a smascherare questi bugiardi”. Suo padre dovette andarlo a prendere in Centrale, dove gli spiegarono che il figlio aveva creato disordine durante una riunione religiosa. Questa storia può sembrare una leggenda, ma è avvenuta realmente».

Quali sono gli elementi che fanno dell’illusionismo l’arma ideale per smascherare le bufale?

«Non c’è un trucco particolare che ti permette di smascherare gli inganni. Quello che conta è rendersi conto che tutti possiamo essere ingannati se ci troviamo nelle condizioni giuste. Un prestigiatore sa usare abilmente certi meccanismi psicologici; il modo in cui funziona l’attenzione; la percezione. I prestigiatori tutte queste cose le fanno anche senza conoscerne il background psicologico e fisiologico. Pian piano nel corso dei secoli questa arte si è affinata, al punto da creare giochi e trucchi che diventano invisibili per chi li guarda, perché sfruttano diversi trabocchetti della mente».

«Già essere consapevoli di questo aiuta molto. Il prestigiatore quando osserva un finto sensitivo, guarda delle cose che lo scienziato invece non vede, perché non sa dove guardare né cosa aspettarsi, e magari applica dei controlli che non hanno nessuna utilità. Se qualcuno sostiene di poter piegare i cucchiaini con la forza del pensiero, cercano di capire quali onde escono dalla sua mente, oppure se le sue dita sprigionano un calore particolare, quindi gli misurano la temperatura e gli fanno l’elettroencefalogramma; tutta roba inutile ovviamente, perché il trucco vero e proprio è una manipolazione fatta quando nessuno guarda».

«Quindi l’abilità dell’ingannatore è proprio quella di manipolare l’attenzione, portarla su qualcosa facendo credere che lì sta per succedere il fenomeno paranormale, quando in realtà con l’altra mano sta mettendo in atto il trucco e nessuno lo vede. Il prestigiatore ha quindi la capacità di capire cosa è importante osservare e cosa non lo è. Attenzione, anche tra loro può esserci chi si lascia abbindolare. Non è semplicemente leggendo libri sui giochi di prestigio che si diventa capaci di smascherare queste cose. C’è bisogno di tanta esperienza e dello studio della psicologia e della fisiologia umana, che sono fondamentali».

Randi e Polidoro con una bambolina voodoo durante un servizio fotografico (1992).

Non sarebbe utile creare l’ora dell’illusionismo a scuola?

«Infatti quando andava nelle scuole, Randi si divertiva tantissimo a stupire i bambini con dei giochi e delle magie, e poi a spiegare i trucchi più semplici, e i bambini sono sempre degli attenti osservatori. Sono anche i più difficili da ingannare. Qualunque prestigiatore ti dirà che i bambini sono il pubblico più arduo. Tu gli puoi far vedere un cappello a cilindro, lo capovolgi e l’adulto fa due più due nella sua mente, e sa benissimo che se ci fosse qualcosa dentro cadrebbe; il bambino non ha ancora questi punti di riferimento per conoscenze acquisite, vede che giri il cappello ma non si fida, vuole metterci sotto la mano e rovina il trucco, perché lì chiaramente c’è un doppio fondo. Poi questa capacità naturale di osservare viene a perdersi, ed è un peccato.

«Noi del CICAP una delle cose che cerchiamo sempre di sostenere con Piero Angela è quella di avere nel programma scolastico l’insegnamento del metodo scientifico, e ci starebbe bene anche uno spazio dedicato alla magia, per creare questa forma mentis. Come dice sempre Piero, a scuola si insegnano le scienze, ma non il Metodo; magari gli si dedica mezzora il primo giorno, poi basta. Invece è proprio il Metodo che i ragazzi devono acquisire, e sarà una cosa che poi si porteranno a presso per tutta la vita. Le nozioni si dimenticano o se ti interessano vai a rileggerle, ma il metodo scientifico è proprio un modo di ragionare».

«Quando ho letto i libri di Angela e Randi, lì ho capito l’importanza del Metodo, ed è quella la cosa che mi ha aperto davvero la mente: imparare a farsi le domande giuste; non lasciarsi incantare dalle fantasie che ci sono, e che per quanto bellissime non ci portano da nessuna parte. Invece fare le domande giuste: chiedere quali sono le prove; quanto è credibile la persona che espone una tesi; sono quelle che ti avvicinano ad avere risposte concrete».

Alberto Villa/CICAP Lombardia | James Randi assieme ai soci del CICAP a Milano (2012).

Un tempo per chi aveva bisogno di consolazione o di credere a qualche prodigio, si rifugiava nella religione. Oggi invece sembrano prendere sempre più piede le credenze in tesi di complotto e cure miracolose. Randi si era mai fatto un’idea del perché?

«C’è stata una perdita di terreno della religione, che ti dà una sorta di speranza nell’aldilà (se ci credi, e Randi non ci credeva), per molti oggi quella speranza lontana non basta più. Tutti vogliono la soluzione adesso dei loro problemi: il mago che promette di far tornare la persona amata; oppure promette di farti parlare con lo spirito del marito o della moglie; quello che ti guarisce dalla malattia solamente imponendo le mani; sono tutte risposte semplici, ovviamente del tutto inutili, che peggiorano la situazione anziché migliorarla, ma che molti trovano confortanti».

«Randi se ne rendeva benissimo conto, e aveva tanta pietà e simpatia per le persone che soffrivano e cercavano risposte in questo modo. Non ne aveva nessuna, ed era spietato, nei confronti di chi se ne approfittava. Quindi davvero si batteva, anche in maniera piuttosto aggressiva se era il caso, contro questi personaggi».

Si potrebbe dire lo stesso anche per la crisi nella politica e nel giornalismo? Pensiamo anche al fenomeno di QAnon negli Stati Uniti.

«Certo, è esattamente la stessa cosa, chi pensa che ci siano soluzioni semplici ai problemi raccoglie un facile consenso, perché ti viene a dire che non c’è bisogno di seguire tutte queste regole, come mettersi la mascherina».

«Riguardo a QAnon, Randi era ovviamente disgustato. Il modo in cui la presidenza americana sfruttava e ha sfruttato fino a oggi le teorie di complotto è qualcosa che lo lasciava inorridito. Tutte le volte che ci sentivamo ne raccontava una nuova che aveva sentito e lo aveva frustrato, ma senza mai perdere la grinta di sempre».

Foto di copertina: Randi e Polidoro nel corso di una serata speciale trasmessa via satellite, da Milano, in tutti gli Space Cinema d’Italia (2012).

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