Divieti, sussidi e niente politiche attive: è l’era della Cig Economy – Il commento
Il diritto del lavoro dell’emergenza ha ormai una sua linea guida molto chiara: la crisi occupazionale generata dal Covid viene gestita con una strategia che potremmo definire della “Cig Economy”. Questa strategia ha come pilastro essenziale il congelamento degli organici delle aziende, costrette per legge a fermare le lancette al 23 febbraio 2020 (data in cui è iniziato il divieto di licenziamento). Questa costrizione è accompagnata da un vigoroso utilizzo degli ammortizzatori sociali che, pur in quadro di grandi ritardi burocratici, sono stati allargati a pioggia, per la prima volta, a tutti i lavoratori, senza eccezioni e senza particolari limiti.
Una strategia che nel breve e nel medio periodo ha avuto un indubbio merito, che non può essere negato neanche dai suoi detrattori: è stato evitato il conflitto sociale, che sarebbe stato particolarmente doloroso nelle fasi iniziali della crisi. Questa strategia ha, tuttavia, conseguenze che rischiano di produrre guasti pesanti. I lavoratori congelati che occupano posti ormai travolti dal Covid non vengono messi di fronte alla realtà e perdono mesi preziosi per affrontare la sfida più difficile che li aspetta, quella della ricollocazione.
E i giovani, i precari e gli irregolari sono i primi a restare fuori dalle aziende e gli ultimi a rientrare, in quanto le imprese tentano di ovviare al divieto di riorganizzare il personale mediante il taglio di tutti i rapporti che non rientrano nel perimetro di tale divieto. E lo Stato riesce a nascondere la più grande carenza del sistema: non ci sono veri strumenti di politica attiva del lavoro.
Dopo un anno di crisi, sarebbe indispensabile che queste misure fossero messe in campo: quando scadrà, a gennaio prossimo, il divieto di licenziamento, il Governo non dovrà farsi trovare impreparato, predisponendo strumenti e misure per consentire alle persone il cui posto di lavoro è stato travolto dalla crisi di ricollocarsi.
Per fare questo non servono infornate di incentivi, ma strumenti mirati:
- un allungamento di almeno un anno della NASPI (garantendo quindi una copertura economica che può arrivare a coprire tre anni);
- il rilancio dell’assegno di ricollocazione;
- il coinvolgimento massiccio delle agenzie per il lavoro nei percorsi di ricollocazione professionale.
Un pacchetto di misure del genere potrebbe consentire di attenuare l’enorme impatto sociale che potrebbe determinare la fine del divieto di licenziamento: in mancanza, arriveremo alla scadenza e sarà inevitabile l’ennesima proroga della CIG Economy.
Leggi anche:
- Coronavirus, proroga del Divieto di licenziamento: che cosa succede dopo il Decreto Ristori
- 8 mesi di pandemia, 10 mila pagine di provvedimenti: il grande ritorno della burocrazia italiana nell’era Covid
- Quest’anno gli italiani perderanno 2.500 euro a testa a causa del Covid. E il Pil del Mezzogiorno tornerà ai livelli del 1989
- Giovani e donne vittime della Cig Economy, un disastro annunciato
- Lavoro, è ora di abbandonare il “populismo giuslavoristico” per investire sulla modernizzazione del sistema – Il commento
- Blocco dei licenziamenti, come funziona nei vari Paesi dell’Unione europea
- Istat, lieve calo della disoccupazione ad agosto: ma aumentano i giovani senza lavoro
- Il blocco dei licenziamenti salva gli over 50: a pagarne le conseguenze sono donne e giovani
- La seconda ondata? La pagherebbero (ancora) le donne: con la didattica a distanza il 30% delle madri lascerà il lavoro