L’attentatore di Nizza sbarcato a Lampedusa: così il foglio per il rimpatrio è diventato un “passaporto” per la Francia
Aouissaoui Bahrain, il killer di Nizza che ha ucciso stamattina tre persone nella chiesa della cittadina, era passato dall’Italia. «È arrivato da pochissimo tempo da Lampedusa», attacca il deputato della regione di Nizza, Eric Ciotti. E chiede al presidente francese Emmanuel Macron di «sospendere qualsiasi flusso migratorio e qualsiasi procedura di asilo, in particolare alla frontiera italiana». Nato in Tunisia il 29 marzo del 1999, secondo quanto sta emergendo in queste ore, Aouissaoui Bahrain il 9 ottobre scorso si trovava a Bari, dove sarebbe stato trasferito nel centro di identificazione e fotosegnalato dalla questura dopo essere stato su una nave quarantena. Per «illecito ingresso in territorio nazionale», avrebbe ricevuto quindi un foglio di via. Ma poi, libero, si sarebbe recato in Francia. Gli inquirenti, secondo quanto riporta Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera, stanno cominciando a ricostruire le tappe del suo viaggio e per farlo sarebbero partiti da un foglio della Croce Rossa Italiana trovato in tasca all’assassino.
Lo screening sanitario
Da sempre la CRI collabora negli sbarchi delle persone che arrivano in Italia dal Mediterraneo centrale, occupandosi degli screening sanitari: non è una novità. Perché, al netto della pandemia, chi sbarca viene visitato. Può essere sano, può essersi ustionato sul barchino con cui è partito magari dalla Libia. Può essere stato o stata vittima di violenza. Può avere la tubercolosi. La scabbia. La febbre. Essere denutrito o disidratato. La scheda che la CRI prepara di quel “paziente” ha fini di esclusivo screening sanitario, appunto, e nessun valore identificativo. Laddove l’identificazione spetta alle autorità, non certo ad associazioni e ong. E poi c’è la pandemia. Come ricostruisce Redattore Sociale, le navi-quarantena per i migranti sono state istituite dal governo ad aprile. Sono navi passeggeri, private, adattate in questo caso per ospitare e assistere i migranti appena arrivati nel nostro Paese. Un decreto, infatti, dichiara l’Italia “porto non sicuro” sempre dall’inizio di aprile, a causa dell’emergenza Covid-19. È quindi impossibile, a detta dell’esecutivo, indicare un place of safety – come richiede il diritto internazionale – nel nostro Paese a causa dell’emergenza sanitaria, per i casi di soccorso effettuati da navi battenti bandiera straniera al di fuori dell’area di Ricerca e Soccorso di competenza di Roma.
«Dopo il blocco delle navi delle ong con i fermi amministrativi, è ancora più vero che la maggior parte degli arrivi in Italia sono sbarchi autonomi soprattutto su Lampedusa», spiega a Open Fulvio Vassallo Paleologo, avvocato e componente della Clinica legale per i diritti umani (CLEDU) presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Palermo. E chi arriva va a finire sulle navi-quarantena per trascorrere appunto le due settimane (in teoria) di “isolamento” causa Covid. A gestire la sorveglianza sanitaria su queste imbarcazioni – cinque al momento – è la Croce Rossa. Ora la CRI «ha una responsabilità eccezionale, perché deve gestire un periodo lungo di permanenza che talvolta si protrae anche più a lungo dei 14 giorni», dice ancora Vassallo Paleologo. «Perché oltre a mancare i centri per i rimpatri, mancano anche i centri di accoglienza, per effetto dei decreti Salvini (uno e due). E molto spesso persone che hanno fatto richiesta d’asilo, nuclei famigliari, minori non accompagnati che sono soggetti vulnerabili con bisogno di protezione, rimangono a bordo delle navi per un periodo più lungo: anche 25, 30 giorni, come abbiamo più volte denunciato. Una violazione dei diritti di queste persone che purtroppo a questo punto sarà schiacciata dalla rilevanza mediatica di questo attentato in Francia»
Gli sbarchi
«Quest’anno abbiamo avuto un grande aumento di arrivi di persone provenienti dalla Tunisia», prosegue il legale. Il killer di Nizza potrebbe quindi essere stato a bordo della nave quarantena Rhapsody di Grandi Navi Veloci, giunta a Bari l’8 ottobre scorso. Da qui, in questura. «Chi passa dalle navi-quarantena, dopo il periodo di 14 giorni solitamente viene portato a terra, in un posto di questura», conferma ancora Vassallo Paleologo. I tunisini «o ricevono un foglio di via, che è poi un decreto di respingimento che viene adottato dal questore, e vengono rimessi in libertà con l’intimazione a lasciare entro sette giorni il territorio nazionale, oppure, in un numero molto limitato di casi – una cinquantina di persone alla settimana – vengono trasferiti nei Centri di permanenza per i rimpatri (i cosiddetti Cpr) e vengono riportati direttamente nel paese d’origine».
A decidere del destino di queste persone, in fondo, e quale strada toccherà loro – se il Cpr e quindi il rimpatrio certo, oppure il foglio di via con l’intimazione a lasciare il territorio italiano, cui spesso segue o il restare in Italia in clandestinità, o il recarsi altrettanto clandestinamente in altri paesi come la Francia – è sostanzialmente il caso. «Non c’è un criterio di selezione se non talvolta il fatto che ci sia o meno posto nei Cpr», spiega l’avvocato. «Quindi può succedere che vengano rimpatriate anche persone senza precedenti penali e che qualcuno non venga rimpatriato, anche perché la Tunisia non collabora pienamente nelle attività di identificazione che sono necessarie al rimpatrio».
Con Tunisi l’Italia ha degli accordi «particolari, che prevedono rimpatri in modo semplificato», continua Vassallo Paleologo. «Basta che a Roma il console, prima dell’imbarco, attribuisca con il suo interprete la nazionalità tunisina, e anche senza una compiuta identificazione (che richiederebbe molto più tempo), le persone vengono riportate nel loro paese. E questo è il motivo per cui i rimpatri, in Tunisia, si fanno e funzionano». Si parla al massimo di un’ottantina di persone alla settimana, un numero aumentato con gli ultimi accordi presi a Tunisi dal governo italiano. «Con le altre nazionalità invece le persone o fanno richiesta di asilo oppure vengono rimesse in libertà con l’intimazione a lasciare il territorio. Anche loro sono poi normalmente condannate alla clandestinità», spiega ancora il legale.
Chi viene dalla Tunisia generalmente «non fa richiesta di asilo» nel nostro paese. «Ci sono anche difficoltà di accesso alla procedura o mancata informazione», spiega Fulvio Vassallo Paleologo. «Però c’è da dire che in molti casi non viene fatta richiesta perché spesso il migrante dalla Tunisia ha un progetto di rientro in patria dopo un periodo di lavoro in Italia o in Sicilia, oppure ha un progetto di trasferimento in Francia o in Belgio, dove ha spesso parenti o amici». Non è chiaro se Aouissaoui Bahrain avesse già – come molti tunisini che transitano dalla Sicilia – dei punti di riferimento in Francia. Ma l’ipotesi è certamente sul tavolo.
ANSA/DESIDERIO | La nave quarantena “Rhapsody”, 5 settembre 2020.
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