Incendi, uragani e promesse: perché il cambiamento climatico è una priorità
Il cambiamento climatico non è una sfida del futuro, ma del presente. Si tratta di un dato che è stato ripetuto un’infinità di volte, ma forse non abbastanza: secondo il rapporto stilato per le Nazioni Unite da alcuni tra i più quotati climatologi al mondo, abbiamo ancora una decina di anni per evitare che la temperatura globale superi la soglia di 1,5 gradi centigradi rispetto all’epoca industriale. Un aumento al di sopra di questa soglia potrebbe determinare l’intensificazione di fenomeni climatici estremi – siccità, incendi, alluvioni – compromettendo irrimediabilmente il nostro ecosistema e mettendo a repentaglio le basi sociali ed economiche della nostra civiltà, a partire dall’agricoltura.
Di fronte a uno scenario talmente catastrofico ci si aspetterebbe che i governi, e soprattutto una superpotenza globale come gli Stati Uniti, non solo ascoltassero gli scienziati, come in parte sta avvenendo durante l’epidemia di Coronavirus, ma che mettessero il problema al centro della propria azione politica. Purtroppo anche durante queste presidenziali non è stato così e i due candidati lo hanno affrontato soltanto nell’ultimo dibattito.
Pur prendendo le distanze da alcune misure invocate dall’ala più radicale del suo partito – come il Green New Deal e il divieto sul fracking – Biden ha fatto una proposta significativa, promettendo che, se dovesse essere eletto presidente, avrebbe sospeso tutti i finanziamenti federali alle compagnie petrolifere. Trump ha preferito attaccare il suo avversario invece di difendere o spiegare le politiche ambientali portate avanti negli ultimi quattro anni. Eppure ne ha fatte di cose.
Gli ultimi quattro anni
Una delle prime mosse di Trump dopo essere entrato alla Casa Bianca è stata quella di eleggere Scott Pruitt a capo dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente americana (Epa), all’epoca procuratore capo dell’Oklahoma e, nelle parole del New York Times, un «negazionista» del cambiamento climatico. L’obiettivo condiviso dai due uomini era quello di smantellare le politiche di Obama – considerate anti-economiche – a partire dalla legge simbolo dell’era Obama, ovvero il Clean Power Plan, che fissava come obiettivo nazionale di ridurre le emissioni di monossido di carbonio del 32% entro il 2030. Ci riuscirono entro il primo anno di presidenza.
Sempre nel 2017, il presidente Trump ha revocato un ordine esecutivo dell’era Obama che richiedeva progetti edili finanziati a livello federale di tenere conto dell’innalzamento del livello del mare. Con a capo Pruitt e il suo successore Andrew Wheeler (un «lobbista del carbone» sempre secondo l’autorevole quotidiano americano) l’Epa non ha solo rallentato il controlli ma ha anche allentato le normative sull’inquinamento atmosferico tossico. Ma forse la decisione più importante di tutte è stata quella di sottrarre gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima che, proprio come consigliano gli scienziati, impegnava gli stati firmatari (tra cui anche l’Italia) a ridurre le emissioni di sostanze climalteranti così da contenere l’aumento delle temperature atmosferiche al massimo entro 2 gradi centigradi in più rispetto ai livelli pre-industriali.
Uragani ed incendi: gli Usa oggi
Eppure in questi anni non sono mancati gli avvertimenti, anche a livello domestico, per capire che bisogna agire immediatamente. Se è vero – come ha sottolineato Trump nell’ultimo dibattito con Biden – che la qualità dell’aria è andata migliorando negli Stati Uniti negli ultimi quattro anni, di certo non è merito di questa amministrazione: si tratta di un miglioramento che è iniziato negli anni ’70 con la transizione graduale verso fonti di energia più pulite rispetto al carbone. Ma gli ultimi quattro anni sono stati segnati soprattutto da un crescendo di eventi climatici estremi.
Tornadi, uragani, alluvioni, esondazioni. Pochi giorni fa un articolo del National Geographic spiegava come l’aumento nelle tempeste quest’anno durante la stagione degli uragani (sono quasi il doppio rispetto alla media) abbia diffuso cosiddette specie di animali “invasive” in nuovi habitat nell’intero Paese. Le conseguenze di questi cambiamento sono tanto gravi quanto imprevedibili.
Ma forse il caso più eclatante sono stati gli incendi in California. Cinque dei sei più grandi incendi mai registrati nello stato si sono verificati nel 2020, provocando diverse dozzine di morti e distruggendo migliaia di edifici ed abitazioni. Durante una visita in California nel bel mezzo della sua stagione record di incendi, Trump ha attribuito la crisi alle politiche di gestione forestale piuttosto che ai cambiamenti climatici, sostenendo che l’abbattimento delle foreste e il rastrellamento delle foglie fosse il modo migliore di prevenire la diffusione degli incendi.
Cosa hanno promesso Biden e Trump
A fronte di questo bilancio può turbare ma non sorprendere che le promesse elettorali in tema ambientale del presidente Trump siano piuttosto modeste. Fondamentalmente, il presidente non ha una strategia a lungo termine per contrastare il cambiamento climatico. Al di là di alcune frasi ad effetto sulla purezza dell’acqua e dell’aria, la promessa di continuare a piantare alberi e di potenziare la produzione di energia nucleare c’è ben poco di concreto.
Biden invece vuole investire 2 mila miliardi di dollari per promuovere l’energia pulita, ha presentato un progetto per costruire 500.000 stazioni di ricarica per veicoli elettrici e 1,5 milioni di nuove case ad alta efficienza energetica. Il suo obiettivo a lungo termine è di eliminare l’inquinamento da combustibili fossili dalle centrali elettriche statunitensi entro il 2035 e di rendere gli Stati Uniti a emissioni zero entro il 2050. Ovviamente se dovesse essere eletto dovrà convincere il Congresso a sostenerlo. Certo, le sue proposte non sono radicali quanto il Green New Deal, sostenuto da Bernie Sanders e, in un primo momento dalla sua vice Kamala Harris, ma sono già qualcosa.
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