Come fanno Francia e Germania ad organizzare il lockdown senza chiudere le scuole
Dal 2 novembre la Germania entrerà in quello che si può definire una versione leggera del lockdown di marzo. Fino alla fine del mese per rallentare i contagi di Coronavirus chiuderanno bar, ristoranti, teatri, cinema, piscine, palestre, discoteche e fiere. I negozi rimarranno aperti ma dovranno rispettare un limite di un cliente ogni 10 metri. In Francia invece il nuovo lockdown è già partito: da giovedì sera a mezzanotte hanno chiuso tutte le attività economiche ritenute «non essenziali», con l’eccezione quindi delle fabbriche e le aziende agricole, per esempio. Sono vietati gli eventi pubblici e i raduni privati al di fuori del proprio nucleo familiare. In entrambi i casi dunque i governi hanno deciso di chiudere quasi tutto, tranne le scuole. Così ha deciso ieri anche il governo di Boris Johnson annunciando un nuovo semi lockdown a partire da giovedì prossimo.
Una scelta di principio?
Le motivazioni sono in parte comuni. Merkel ha motivato la sua scelta citando «l’importanza suprema dell’educazione» come diritto fondamentale. Ha fatto altrettanto Johnson («Non possiamo permettere che questo virus danneggi il futuro dei nostri figli più di quanto non abbia già fatto», ha dichiarato ieri). Anche il governo francese, per citare un tweet del ministro dell’Istruzione Jean-Michel Blanquer, ha motivato la scelta sottolineando come le scuole siano al «cuore» della vita del Paese. In passato Blanquer ha anche citato il presunto effetto negativo delle chiusure sul benessere e i livelli di apprendimento dei bambini, una materia in via di approfondimento. Secondo un recente studio della Commissione europea, in Francia, Italia e in Germania la didattica a distanza avrebbe comportato in media una perdita di apprendimento settimanale compresa tra lo 0,82% e il 2,3%.
Un altro fattore ancora riguarda la volontà dell’elettorato. A settembre, nonostante i casi di Coronavirus aumentassero, il 79% dei genitori francesi era favorevole alla ripresa della scuola in presenza. Nel suo discorso Merkel ha anche evidenziato alcuni tra i benefici sociali che ne derivano, sia in termini di tranquillità lavorativa per i genitori che possono concentrarsi sul lavoro anziché badare ai propri figli, sia per quanto riguarda un lato più buio della vita domestica, ovvero la violenza su donne e bambini. Nel suo intervento infatti la Cancelliera ha sottolineato come nei mesi del primo lockdown a marzo e aprile di quest’anno siano aumentati gli episodi di violenza che coinvolgevano entrambe le categorie.
Il dibattito scientifico
Ma alla base delle prescrizioni del governo ci sono anche delle valutazioni scientifiche. Diversi studi condotti nelle prime fasi dell’epidemia sottolineavano come la trasmissione tra i bambini e i ragazzi in età scolastica fosse piuttosto bassa. A giugno il prestigioso Institut Pasteur in Francia ha pubblicato un comunicato dal titolo Covid-19 nelle scuole primarie: nessuna trasmissione significativa del virus tra i bambini e gli insegnanti. Si basa su uno studio preliminare della squadra guidata dal noto epidemiologo e membro del consiglio scientifico francese, Arnaud Fontanet.
Per Fontanet il basso tasso di infezione tra gli insegnanti è prova del basso tasso di contagiosità tra i bambini. Anche in Germania diversi studi condotti dopo la prima ondata puntavano nella stessa direzione. Una squadra guidata da una scienziata dell’altrettanto prestigioso Robert Koch Institute in Germania concludeva, in uno studio pubblicato a settembre, che le misure di prevenzione messe in atto nelle scuole dopo la riapertura di aprile avevano sortito l’effetto sperato.
Ci sono, però, due fattori da tenere in considerazione. Il primo è che questi studi sono stati condotti durante la prima fase dell’epidemia (in Francia la riapertura è avvenuta a settembre), in mesi più caldi e, soprattutto, in un contesto in cui non erano disponibili tantissimi dati sulla trasmissione del virus. In Italia infatti, l’ultimo dossier aggiornato sul tema, pubblicato il 12 ottobre e realizzato, tra gli altri, dal Ministero della Salute, dall’Iss e dall’Inail, conclude che «la reale trasmissibilità di Sars-CoV-2 nelle scuole non è ancora nota, anche se cominciano a essere descritti focolai in ambienti scolastici in Paesi in cui le scuole sono state riaperte più a lungo».
In secondo luogo, una bassa incidenza tra i più giovani ovviamente non esclude il rischio di contagio non sono di professori e docenti ma anche in ambito familiare. Altre analisi infatti danno maggior peso all’effetto della riapertura delle scuole sulla situazione epidemica nell’intero Paese. Tra queste c’è uno studio pubblicato pochi giorni fa sulla rivista scientifica The Lancet che mostra, come ci spiega il direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano, Fabrizio Pregliasco che «in diversi Paesi la chiusura delle scuole abbia rappresentato una diminuzione del 15% del valore di trasmissibilità del virus (Rt), contro il 24% degli eventi sportivi e il 13% degli uffici». «In fin dei conti – continua Pregliasco – si tratta comunque di un problema politico, una questione di scelte. Ad ogni modo, occorre un protocollo corretto all’interno delle scuole».
Anche per questo la riapertura delle scuole in Francia e in Germania è stata accompagnata da misure di prevenzione. In Francia l’obbligo di mascherina a scuola è stato esteso anche ai bambini nelle scuole elementari e a tutti gli insegnanti con un criterio che dunque sembra più rigido di quello italiano, visto che da noi la mascherina è obbligatoria solo quando ci si sposta da una classe all’altra. In Germania invece già da prima le scuole erano tenute a redigere piani di sicurezza che includono l’apertura completa delle finestre almeno una volta durante ogni lezione e di nuovo durante le pause per garantire la ventilazione, anche quando gli alunni sono “mascherati”. Gli studenti sono comunque obbligati a indossare le mascherine anche quando si muovono da una classe all’altra, mentre sul tenerle indosso da fermi ci sono differenze tra Lander e Lander. Nulla di molto complicato, comunque, se paragonato alla didattica a distanza.
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