Galli: «Chiudere le città è un esperimento: non c’è tempo. Il lockdown generale non è da escludere, da subito»
Lockdown subito, e generalizzato. Forse, ma non è certo, di durata inferiore al primo, che era stato su due mesi. Ma è necessario agire subito. Parola di Massimo Galli, direttore di Malattie infettive dell’ospedale Luigi Sacco di Milano, in un’intervista oggi a Il Messaggero. La curva avanza, i dati del contagio di Coronavirus parlano chiaro, un’alternativa alla chiusura a questo punto sembra non esserci. Ma chi chiude? E come? E chi decide? Perché il nodo sembra essere, ancora una volta, tutto qui, insieme alla considerazione che sarebbe stato necessario, e possibile, fare di più per arrivare a questa seconda, certa, ondata. Nell’attesa di un nuovo dpcm ormai imminente.
A preoccupare, più di tutto il resto, al momento è la situazione del contagio a Milano, vero epicentro di questa nuova avanzata del virus, con una curva che cresce in maniera esponenziale. Il timore è che la prossima settimana gli ospedali comincino a collassare definitivamente. Lo teme anche uno come Galli che, in genere, non si fa abbattere. «Cerco di mantenere una obiettività», dice. Ma «è chiaro che stando in ospedale, ti può venire da dire che è un disastro. In questo momento c’è profonda stanchezza e crisi anche dal punto di vista del personale. É giù di morale». Galli ha annunciato nei giorni scorsi che si trova ormai costretto, data la situazione, a declinare almeno per una settimana gli inviti in tv per mancanza di tempo.
La corsa del virus
Nel suo ospedale, racconta Galli, i posti per malati Covid sono aumentati fino a 330: «il che vuole dire che abbiamo chiuso per intero l’attività di reparti che normalmente assistono tutt’altro». Ecco perché aspettare un’altra settimana per vedere l’effetto delle misure dell’ultimo dpcm del 24 ottobre non è un rischio che è possibile correre per il nostro paese, per Galli. «Le infezioni sono già avvenute e ci porteranno comunque un carico di ricoveri, di posti di rianimazione da occupare e purtroppo anche di decessi piuttosto prevedibile», spiega. Quello che ora di deve evitare è «l’ulteriore esplosione dell’infezione. Se la scommessa che è stata fatta con i provvedimenti che sono stati adottati è vincente, tra 15 giorni ci potrà essere un’inversione di tendenza. Sennò non ci saranno alternative, e comunque il prezzo da pagare sarà ancora più alto».
Il lockdown locale non basta
Chiusure locali, regionali o metropolitane, per Galli, non possono essere una soluzione percorribile, perché non vi è certezza che sarebbero sufficienti. «Circoscrivere una grande area metropolitana e chiudere completamente solo lì, riuscendo a fare un lockdown semitotale simile a quello già avuto, dal punto di vista dell’efficacia dei risultati è un punto interrogativo». Insomma, è un’ipotesi sperimentale e non possiamo permettercela, è il ragionamento di Galli. Inoltre gestire la chiusura di grosse aree metropolitane, con le persone che entrano ed escono quotidianamente per lavoro, resta una strada difficile da percorrere, dice.
Ecco perché la via da considerare, e in fretta, è quella della serrata generale. A marzo «da un momento all’altro ci si è trovati di fronte ad un’ondata di piena, adesso stiamo osservando la crescita di un fenomeno che possiamo misurare e in alcune entità possiamo prevedere. Di conseguenza, a questo punto dobbiamo decidere che provvedimenti vanno presi, e sono ovviamente provvedimenti tardivi. Stiamo sempre dietro il virus, non davanti». Nè abbiamo imparato dai paesi confinanti come la Francia. La buona notizia, non certa, è che potrebbe bastare un lasso di tempo inferiore ai due mesi del lockdown primaverile. «Ipoteticamente. Ma non so quanto».
In copertina Ansa/Andrea Canali | Il prof Massimo Galli dell’ospedale Sacco, in occasione della presentazione dell’avvio del test epidemiologico sulla popolazione del Comune di Carpiano, 9 Giugno 2020.
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