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Cari politici, ecco perché gli anziani sono indispensabili per lo sviluppo del Paese

02 Novembre 2020 - 10:55 Giampiero Falasca

Ma davvero gli anziani sono «non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese?» Il tweet a dir poco infelice pubblicato ieri dal Governatore della Liguria Giovanni Toti, curato probabilmente da uno dei suoi social media manager, non è solo inaccettabile sul piano civile, umano e sociale: è anche portatore di un messaggio profondamente sbagliato. Così come sollevano molti interrogativi le proposte di un lockdown “selettivo” per la terza età. Non serve scomodare l’antica Roma, dove l’età e l’esperienza costituivano un valore essenziale nella vita pubblica, per rendersi conto di quanto l’estensore di quel brutto tweet sia andato lontano dalla realtà, per tanti motivi diversi.

Il primo errore è meramente statistico: dire che gli anziani sono “per lo più in pensione” significa non aver compreso la direzione in cui va il sistema previdenziale e anche il mercato del lavoro, entrambi proiettati (con regole anche molto discusse, come la riforma Fornero del 2012) verso un corposo allungamento della vita lavorativa. A meno di non considerare anziani solo gli over 75, l’affermazione si rivela profondamente sbagliata, considerando che ormai la vita lavorativa si spinge oltre i 67 anni di età. Un secondo errore è più profondo, e investe il mancato riconoscimento del grande contributo che gli anziani danno allo «sforzo produttivo» del Paese con forme magari diverse da quelle di un quarantenne, ma non meno importanti.

Milioni di bambini crescono, vanno a scuola, fanno i compiti e attività sportive grazie alle cure dei nonni, un vero patrimonio per tutte le famiglie che hanno la fortuna di poterseli godere: cure che coprono i giganteschi buchi del nostro sistema di welfare e aiutano i genitori a portare avanti quelle carriere lavorative che, in mancanza di questo aiuto, sarebbero di gran lunga più complicate da gestire. Un efficiente sistema di welfare familiare sussidiario che non costa un euro allo Stato e aiuta, altro che, lo «sforzo produttivo» del Paese.

Ma l’aiuto allo «sforzo produttivo» non si esaurisce in questo grande, collettivo lavoro di cura: c’è anche un enorme lavoro di trasferimento di memoria, competenze e conoscenze tra i più giovani e i meno giovani che non può essere dimenticato con una frase superficiale e liquidatoria in quanto costituisce un momento essenziale del sistema economico e del mercato del lavoro. Senza dimenticare che gli anziani possono offrire un contributo impareggiabile anche in termini di equilibrio: una società composta solo da quarantenni elettrici sarebbe difficilmente gestibile e produttiva.

Se volessimo controbattere l’affermazione dell’ingenuo social media manager si potrebbe aggiungere anche un dato economico fondamentale: gli anziani sono un importante segmento dell’economia, sia nella veste di consumatori che in quella di fruitori di servizi di varia natura. Non è anche questa una formidabile forma di partecipazione al sistema economico?

Non ha senso crocifiggere Toti e il suo social media manager per un errore di cui si sono già ampiamente scusati ed è prematuro alzare una levata di scudi contro proposte che ancora non si sono tradotte in provvedimenti ufficiali. Ha invece senso fare una riflessione per ricordare quanto siano stupidi e insensati i tentativi di segmentare la popolazione per categorie, assegnando patenti insensate di produttività a questa o a quell’altra fascia di età.

Patenti che, con una triste coincidenza di eventi, diventano ridicole nel giorno in cui il nostro Paese piange uno dei più grandi “anziani” della sua storia: chissà quanto starà ridendo il grande Gigi Proietti al pensiero di non essere considerato indispensabile allo sforzo produttivo del Paese.

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