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Torna la didattica a distanza, ma il digital divide taglia fuori 300 mila studenti: «Rischio crisi educativa»

03 Novembre 2020 - 07:32 Felice Florio
La chiusura delle scuole causerà problemi in quelle famiglie dove mancano i device e la connessione. Le periferie delle grandi città e le aree rurali sono i territori più a rischio. Il vicepresidente di Con i Bambini: «La Dad al 100% comporterà una crisi educativa»

Nel giro di qualche giorno, il mondo scolastico si trova a rivoluzionare, di nuovo, il suo modello di insegnamento. La didattica a distanza con il Dpcm in arrivo forse martedì 3 novembre, dovrebbe passare dal 75% al 100% nelle scuole di secondo grado. Il ritorno in aula è durato poco più di un mese e, mentre le campanelle smettono di suonare, tornano a far rumore le problematiche legate al digital divide: sono circa 300 mila gli studenti a cui mancano pc o tablet per restare al passo con le lezioni durante l’emergenza Coronavirus.

A dare queste cifre è lo stesso ministero dell’Istruzione che, in seguito al monitoraggio dello scorso primo settembre, ha calcolato che sono esattamente 283.461 i pc e i tablet necessari per colmare il gap tecnologico di alcuni studenti. Inoltre, lo stesso ministero di viale Trastevere ha individuato 336.252 alunni non raggiunti da alcun tipo di connessione. Il 27 ottobre, il governo ha firmato il decreto Ristori che contiene una dote economica per appianare il deficit di dotazione informatica degli studenti: la sensazione, però, è che le risorse non saranno sufficienti.

I fondi del decreto Ristori

All’articolo 21 del decreto legge, un tesoretto da 85 milioni è stanziato per il Fondo per l’innovazione digitale e la didattica laboratoriale del ministero dell’Istruzione. Una misura e un finanziamento analoghi a quelli contenuti nel decreto Cura Italia dello scorso marzo, ma questa volta dal provvedimento è escluso il personale scolastico. Tra supplenti che non hanno diritto ai 500 euro della carta del docente e insegnanti che, soprattutto al Sud, già durante il primo lockdown hanno avuto problemi di connessione, il tema potrebbe allargarsi a tutto il mondo scolastico.

La disconnessione delle campagne

Restando focalizzati sugli studenti, però, e prendendo per buona la relazione tecnica del dl Ristori secondo cui si riusciranno a garantire «283.461 personal computer e connettività per 336.252 studenti che ne sono privi», resta il dubbio sulle tempistiche di consegna. La più recente delle indagini sul digital divide – condotta da Coldiretti e Istat e pubblicata il primo novembre – ha rilevato che quasi una famiglia su tre, ovvero il 32% dei nuclei che risiedono nelle aree rurali – si tratta dei Comuni con meno di 2mila abitanti -, non dispone di una connessione a banda larga.

ANSA | Marco Rossi-Doria a Napoli nel 2006 quando operava come maestro di strada ai Quartieri Spagnoli

Marco Rossi-Doria: «Con la Dad al 100% ci sarà una crisi educativa»

Insegnante di scuola primaria, pedagogista, formatore e sottosegretario di Stato all’Istruzione nei governi Monti e Letta, Marco Rossi-Doria è oggi vicepresidente dell’impresa sociale Con i Bambini. Lo scorso luglio, sempre a proposito di didattica a distanza e gap tecnologico, Con I Bambini e Openpolis hanno elaborato un report sul divario digitale dei ragazzi italiani. Da quell’indagine risultava che «il 12,3% dei giovani non possiede un pc o tablet, quota che arriva al 20% nel Mezzogiorno. La Calabria, regione meno connessa d’Italia è distante di circa 14 punti dal Trentino Alto Adige, la più connessa. Oltre un milione di minori vive in Comuni dove nessuna famiglia è raggiunta dalla rete fissa veloce».

Rossi-Doria, cosa succede adesso con il ritorno prepotente della didattica a distanza?

«Ci sarà un ulteriore arretramento dei più deboli e un aumento dei divari economici e sociali. Il nostro Paese, a partire dal 2006, ha tagliato i fondi delle scuole per circa 7 miliardi l’anno, senza affrontare veramente la questione della dispersione scolastica. A perdere competenze sono stati i territori già più deboli in partenza, tra cui le periferie delle grandi città, con particolare incidenza al Sud. Prima ancora del digital divide, la questione inevasa riguarda l’analfabetismo dei giovani che vivono in contesti di criminalità, ad esempio. Il divario digitale è un problema successivo, che è diventato primario, però, con la chiusura delle scuole per la pandemia».

Quali sono stati gli effetti del primo lockdown sui ragazzi che non hanno potuto avvalersi della Dad?

«Durante il lockdown abbiamo visto che chi non era collegato è tornato indietro in termini di apprendimento; ha mostrato deficit di socialità, privato della vita con i coetanei sia reale che digitale. Ma abbiamo anche visto, laddove il terzo settore era già al lavoro su progetti finanziati contro la dispersione scolastica, che gli educatori sul campo, agendo di concerto con le scuole, sono riusciti a limitare gli effetti sulla dispersione scolastica di ragazzi e bambini con un gap tecnologico».

Adesso, con il possibile ritorno a una Dad al 100%, cosa succederà?

«Purtroppo possiamo prevedere che ci sarà una crisi educativa, soprattutto nelle fasce deboli della popolazione e nelle zone del Paese non collegate. Ho paura per i quartieri difficili delle grandi città, per i territori interni che hanno una rete incerta. I dati che abbiamo sul digital divide profetizzano un ulteriore indebolimento dei ragazzi più emarginati: la crisi educativa sta riprendendo piede. A maggio e giugno scorsi si era riproposto all’attenzione della politica il tema del divario digitale e c’è stata una certa attenzione da parte del governo. Adesso, però, rischiamo di nuovo che la crisi educativa diventi secondaria all’emergenza sanitaria ed economica».

Cosa bisogna fare per fronteggiare la crisi educativa di cui parla?

«Mi pare chiaro che delle cose le possiamo ancora fare, iniziando a individuare i bambini e i ragazzi a rischio. Sono più in difficoltà i giovani che vivono in case piccole, hanno connessioni lente, hanno pochi device, i bambini con disabilità e bisogni educativi di vario tipo, circa 260mila in Italia, le famiglie straniere. Sappiamo quali sono le aree fragili, le possiamo nominare e intervenire su esse. Le scuole sanno quali sono i bambini e i ragazzi più deboli. E poi bisogna recuperare l’attenzione che c’è stata sul tema durante il primo lockdown, bisogna tampinare i ministeri competenti, chiedere alle scuole di fare rete con le associazioni. Possiamo contrastare questa seconda ondata di crisi educativa, al pari di quella economica e sanitaria. D’altronde, al nostro fianco, abbiamo l’esercito più coraggioso: gli insegnanti, dopo medici e infermieri, sono stati sempre in prima linea durante questa crisi civile».

Con i Bambini è il soggetto attuatore del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Si tratta di un Fondo realizzato grazie a un accordo tra governo e fondazioni bancarie: dal 2016 ad oggi, ha finanziato progetti in tutta Italia per un valore di 650 milioni di euro.

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