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Vespignani sui dati usati per le chiusure: «Imprecisi e tardivi, ma sono i migliori che abbiamo»

04 Novembre 2020 - 12:31 Giada Giorgi
L’epidemiologo della Northeastern University di Boston spiega quali sono le falle delle statistiche Covid attualmente a disposizione in Italia e nel mondo

Nello scenario complesso di una pandemia in corso, numeri e statistiche sono diventati i principali strumenti di comprensione di una curva epidemica non sempre facile da decifrare. Bollettini giornalieri e monitoraggi settimanali sono riferimenti importanti per le valutazioni del governo, mentre l’ormai celebre indice Rt continua ad essere criterio centrale nella determinazione delle cosiddette “zone rosse“. Ma quanto sono attendibili i dati attualmente disponibili in Italia e nel mondo? A rispondere alla domanda l’epidemiologo Alessandro Vespignani, che dalla Northeastern University di Boston, ha spiegato al Corriere in quale grado sia necessario fidarsi dei numeri disponibili sulla Covid-19. «Arrivano in differita, si fanno sfuggire gli asintomatici, non sono abbastanza capillari ma sono i meglio che abbiamo». In questa breve frase il riassunto dello scienziato riguardo i dati sulla pandemia. Quelli a cui Vespignani si riferisce sono in particolare i numeri relativi all’indice Rt, al rapporto tra tamponi positivi e quelli effettuati, al tasso di occupazione degli ospedali. Punti di riferimento non solo per la popolazione ma anche per le azioni di molti governi che da settimane modulano decisioni e restrizioni.

«Sappiamo che questi parametri riflettono una situazione che risale ad almeno una settimana prima» comincia col ricordare Vespignani. «Possiamo cercare di ridurre questo ritardo, ma non eliminarlo» continua, sottolineando come la raccolta dei dati sia un lavoro molto complesso che al momento mette a dura prova non solo l’Italia. «Dall’inizio dell’epidemia abbiamo a che fare con dati che lasciano a desiderare. E questa è la nostra frustrazione» confessa Vespignani. Altro punto critico è il ritardo presente nel monitoraggio dell’indice Rt. «In Italia viene calcolato bene», rassicura l’epidemiologo, aggiungendo però come «il tempo fra contagio e notifica dei casi non sempre raggiunge la granularità territoriale che sarebbe necessaria». Senza contare l’incapacità del monitoraggio dell’indice Rt di considerare anche gli asintomatici. Alla base di questa impossibilità ci sarebbero, secondo il professore, delle «ragioni tecniche» che rendono necessaria «la segnalazione della data di insorgenza dei sintomi».

Margini di errori che Vespignani definisce «molto grandi» e che confermano quanto spesso ribadito anche dallo stesso Istituto superiore di Sanità sulla necessaria cautela di interpretazione dell’indice Rt in questione. Il nodo della tempistica sembra essere centrale anche per le percentuali riguardanti i tamponi positivi e quelli effettuati. «Se i risultati arrivano in ritardo, anche questo diventa un indicatore poco tempestivo» e quindi poco attendibile nella valutazione effettiva dell’andamento di trasmissione. In un momento di grande preoccupazione per la capacità assistenziale dell’intero Paese, Vespignani spiega come anche nel dato dei ricoveri ospedalieri ci sia una mancanza fondamentale. «In Italia si tiene conto solo del saldo dei ricoverati. Non c’è il calcolo del numero di chi entra e di chi esce». Un elemento che rendiconterebbe l’effettivo flusso ospedaliero causato dalla pandemia, e che secondo lo scienziato «aiuterebbe a prevedere l’andamento della curva piuttosto che essere costretti ad inseguirla».

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