Zone rosse, l’Iss prova a spegnere le polemiche: «Il processo è condiviso con le Regioni. Bisogna raffreddare la curva»
La pandemia di Covid-19, in Italia, è «in evoluzione negativa e molto preoccupante», anche perché in alcune regioni è già stata raggiunta la soglia del 40% di letti di medicina ordinaria. È quello che emerge dalla conferenza stampa del presidente dell’Istituto superiore di sanità (Iss), Silvio Brusaferro, e del direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute, Gianni Rezza.
Una conferenza stampa che arriva a poche ore dall’annuncio del premier Giuseppe Conte dell’ultimo Dpcm, normalmente prevista per il venerdì, anticipata (anche) per fare il punto sugli indicatori che hanno portato all’ordinanza di ieri con cui il ministro della Salute Roberto Speranza ha decretato la suddivisione del Paese in tre aree – gialla, arancione e rossa – con relative misure restrittive (che entreranno in vigore da stanotte e che nelle zone più a rischio assumono la forma di un nuovo lockdown). Ordinanza accolta da critiche, perplessità, ricorsi e polemiche.
«Bisogna intervenire per abbassare la curva»
Undici regioni sono classificate a «rischio elevato di trasmissione non controllata». Il problema è prospettico: se l’allarme è già qui, a novembre, col 40% dei posti in ospedale occupati in molte regioni – quando l’influenza non c’è e il freddo neppure – allora ecco che bisogna attrezzarsi. «I nuovi dati aggiornati del Monitoraggio Regionale della Cabina di Regia saranno prodotti nelle prossime 48 ore. Ma vogliamo spiegare gli strumenti che stanno accompagnando il monitoraggio dell’epidemia», spiega Brusaferro. La parola d’ordine ora è frenare la curva, aggiunge. «A partire dal 4 maggio è stata prodotta questa valutazione settimanale della cabina di regia, che censisce l’evoluzione dell’epidemia. Dai primi di ottobre c’è stato un passaggio di fase e poi un’accelerazione fino a venerdì scorso».
«Percorso condiviso»
Tre sono le categorie degli indicatori, dice il presidente dell’Iss. «Prima di tutto di processo: mostrano quanti nostri sistemi sono in grado di completare tutte le variabili che stiamo analizzando». Insomma: quanto le singole regioni riescono a fornire dati aggiornati e a monitorare la situazione, nonché a inviare quei dati alla Cabina di Regia per il monitoraggio. «Poi ci sono indicatori di esito che danno la dimensione di quanto velocemente e quantitativamente corre l’infezione», per esempio l’RT. «E infine gli indicatori che raccontano quanto il sistema sanitario riesce a far fronte a tutti i casi che deve gestire, dalla semplice positività ai pazienti in rianimazione».
Dall’incrocio di questi indicatori si valutano le situazioni regionali, insomma. «In estate, quando l’epidemia era controllata, si è cominciato a pensare a come fare fronte a una curva epidemica». Definendo degli scenari rispetto ai quali stabilire degli interventi: dal tipo 1 con RT inferiore a 1, scenario 2 (RT fino a 1,25), scenario 3 (tra 1,25 e 1,50), scenario 4, il più grave, dove la pandemia corre molto veloce, con RT oltre 1,50. Per ogni livello di rischio, dice ancora Brusaferro, sono correlate le misure raccomandabili a livello locale, regionale, sovraregionale. Sono valutazioni, ripete più volte Brusaferro, che «esistono da 24 settimane e sono già condivise».
«Una regione può avere aree di maggiore e minore sofferenza. La media tra questi dati può spiegare come alcuni regioni non risultino in sofferenza», aggiunge Gianni Rezza. «In Cabina di regia la Conferenza delle Regioni ha nominato tre componenti: le regioni sono quindi rappresentate. Non solo: non è la cabina di regia a decidere: è la politica», specifica Rezza.
Su dati mancanti, dati che arrivano in ritardo, monitoraggi incompleti «escludo il dolo nella comunicazione», dice Brusaferro. «Lo sforzo che stanno facendo le regioni è enorme». Con una consapevolezza: «L’analisi dei rischi non riguarda i singoli casi, ma i trend. Questo strumento non dà i voti: è costruito per aiutare il sistema a capire la rotta che deve percorrere». Prendere oggi «delle misure più restrittive, può permettere domani di ripartire», aggiunge Giani Rezza. «Mantenendo un certo livello di regole», chiosa citando la “forse troppo eccessiva” libertà dell’estate.
I criteri dell’ordinanza
Ecco, insomma, i criteri dell’ordinanza di Speranza. Che si basano sul numero di posti in ospedale, occupazione degli stessi, disponibilità e saturazione delle terapie intensive. La Valle d’Aosta – Brusaferro fa un esempio specifico – «per un motivo di difficoltà a raccogliere i dati anche a causa del grande numero di casi, da tre settimane fa fatica a presentarli. E questo è marker di grande difficoltà del sistema». «I dati vanno letti nella loro integrità», aggiunge Rezza.
Il caso Campania
«Il numero dei casi è elevato in tutte le aree, a differenza di marzo, quando erano tanti ma concentrati geograficamente», prosegue ancora il professor Gianni Rezza. «La distribuzione sul territorio nazionale ci dà più tempo prima che il sistema entri in sofferenza, ma nello stesso tempo è tutto il paese a essere colpito. Nelle zone arancione e gialla, la trasmissibilità ha comunque incidenze e RT elevati».
E poi la risposta alla domanda che tiene banco e che si fa lo stesso governatore della Regione in questione: perché la Campania, con un altissimo numero di casi quotidiani e totali, è in area gialla? «Ha molti casi ma se vedete l’RT, è molto più basso (ma sempre sopra 1) rispetto a regioni come Lombardia e Calabria», spiega Rezza. «La trasmissione è quindi aumentata ma ora forse si è in qualche modo stabilizzata e questo influisce sui due indicatori. Evidentemente gli interventi implementati anche al di fuori di quelli nazionali, con ordinanze locali, potrebbero avuto un certo effetto sulla trasmissione».
In copertina ANSA / Fabio Frustaci | Il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, durante una conferenza stampa sull’analisi della situazione epidemiologica del Covid-19 in Italia, Roma 30 ottobre 2020.
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