Coronavirus, i numeri in chiaro. L’immunologa Viola: «Dobbiamo aspettarci ancora più decessi»
Record di contagi. Ma anche tanti morti come non se ne registravano da molto tempo. Il quotidiano bollettino di Protezione Civile e ministero della Salute fotografa una situazione ancora molto difficile in tutta Italia: 34.505 nuovi contagi di Coronavirus e 445 morti in 24 ore, che portano il totale delle vittime della pandemia a sfondare quota 40 mila. «Sapevamo di essere in curva esponenziale», commenta a Open l’immunologa dell’Università di Padova Antonella Viola.
Cosa ci dicono questi numeri?
«Riflettono l’andamento esponenziale dei giorni scorsi. Sappiamo che le vittime “seguono” di una ventina di giorni il momento del contagio, quindi i numeri di oggi riflettono quello che è accaduto 15, 20 giorni fa. Non è sorprendente: dobbiamo aspettarci ancora una crescita. Negli ultimi giorni il numero delle persone ricoverate ha cominciato a essere meno esponenziale, speriamo che a un certo punto questo si rifletta anche in una minore crescita dei decessi. Ma al momento l’andamento non può che essere questo».
Cosa pensa della divisione del territorio nazionale in tre aree come da ultimo Dpcm?
«È assolutamente corretto. Non si possono avere misure generalizzate, ma bisogna necessariamente andare a studiare con molta attenzione la situazione sul territorio e fare delle chiusure chirurgiche e mirate. Proprio per evitare di colpire in maniera indiscriminata tutta l’economia e intervenire in maniera pesante solo laddove serva».
E la collocazione delle regioni la convince? Lombardia, Piemonte e Calabria (sul piede di guerra) in zona rossa, Campania in giallo.
«Non entro nella discussione su dati eventualmente falsati: in questo momento non voglio neanche pensare a una cosa del genere. Dobbiamo lavorare tutte e tutti uniti perché ne va non solo della salute delle persone che si ammalano, ma della tenuta dell’intera società. Posto che i dati sono tutti giusti e veri, c’è poco da fare. Se una regione ha una situazione di criticità, lo deve riconoscere e affrontare con delle misure rigide. Prima di arrivare a questo punto, bisognava mettere in atto delle accortezze. A Milano e in Lombardia in generale, per esempio, si sapeva benissimo che c’era il problema dei trasporti: andava affrontato. Ora è inutile fare polemiche: le regioni devono assumersi le loro responsabilità e collaborare con il governo».
Oggi dall’Istituto Superiore di Sanità hanno commentato che sì, la Campania ha molti casi, ma, spiega Gianni Rezza, «la trasmissione appare in qualche modo stabilizzata e questo influisce sugli indicatori. Evidentemente gli interventi implementati anche al di fuori di quelli nazionali, con ordinanze locali, potrebbero avuto un certo effetto sulla trasmissione». La didattica a distanza per tutte le scuole, per esempio?
«No. Non credo sia stato quello. Se è stato quello, vuol dire che le scuole non stavano funzionando nel modo giusto. Abbiamo fatto un’analisi, con Enrico Bucci, sulla Campania, e abbiamo dimostrato che la scuola non è stata la causa dell’aumento dei contagi. Poi però tutto quello che porta alla scuola, tutto quello che viene prima e dopo la scuola è un altro discorso. Quella del governatore non è stata una buona mossa: oggi si è espresso anche il Cts che ha detto chiaramente che la chiusura della scuola è un problema gravissimo perché comunque è un problema sanitario, colpisce la salute dei ragazzi. Quindi no, non è quella la misura giusta. Probabilmente sono state le altre restrizioni messe in atto a essere giuste: il coprifuoco e maggiori controlli per le strade».
È sempre il nodo dei trasporti?
«Quello è necessario, in tutta Italia, e non c’è il minimo dubbio».
Ora il nuovo Dpcm sancisce la soglia massima di capienza del 50%. Può bastare?
«Il punto è sempre quello dei controlli. Prima era all’80%, ma altro che: in alcuni casi era il 400% di riempimento. Le regole vanno bene, ma se non si fanno rispettare non servono a nulla. Come li monitoriamo? Il punto è che per colpire il trasporto non bisogna colpire la scuola, ma organizzare orari alternativi o variare l’ingresso degli orari. I ragazzi delle superiori potrebbero andare a scuola alle 11 o alle 2 di pomeriggio, per esempio: questa è una non ragione. E spero che alla fine di queste settimane si smetta con la didattica a distanza».
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