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Coronavirus. Cosa succede nei polmoni dei pazienti gravi – Lo studio

06 Novembre 2020 - 08:31 Juanne Pili
Cellule fuse tra loro, trombi e persistenza di RNA virale negli alveoli. Ecco cosa è stato visto nei polmoni di 41 vittime della Covid-19

Finora ci siamo focalizzati sul ruolo dei linfociti nell’innescare quella tempesta di citochine associata alla infiammazione polmonare, caratteristica delle forme gravi di Covid-19, dovuta al nuovo Coronavirus. Se ne può trovare traccia in forma meno evidente, se non mediante apposite Tac, anche in buona parte dei soggetti asintomatici, quindi non per questo sani o meno infettivi. Un recente studio apparso su The Lancet EBioMedicine, fa luce sulle condizioni dei tessuti polmonari colpiti dall’infiammazione, attraverso dati autoptici.

I ricercatori del King’s College di Londra, dell’Università di Trieste e del Centro di Ingegneria Genetica e Biotecnologie di Trieste, coordinati da Mauro Giacca, hanno osservato come diverse cellule invece di venire distrutte, finiscano per fondersi assieme a quelle vicine, formando aggregati noti come sincizi; oltre a questo la replicazione virale continuerebbe a essere rilevante anche nelle ultime fasi della malattia.

R. Bussani et al./EBioMedicine (2020) | I segni sui polmoni malati gravemente di Covid-19

Le conseguenze della Covid-19 nei polmoni di 41 vittime

Sono 41 i cadaveri di pazienti deceduti per Covid-19 studiati nella ricerca di The Lancet. Queste «cellule giganti», come sono state definite dalle Agenzie, sarebbero determinate dalla loro interazione col principale antigene del SARS-CoV2, ovvero la glicoproteina Spike (S). Non abbiamo quindi solo un problema dovuto ad un mancato coordinamento delle cellule immunitarie, come suggerito in un precedente studio, ma anche alla persistenza dei sincizi. Si tratta di preziose informazioni, che potrebbero aiutarci a sviluppare terapie farmacologiche più efficaci.

«Siamo molto stimolati da queste osservazioni – spiega Giacca – perché la persistenza del virus per tempi molto lunghi dopo l’infezione e la presenza di queste cellule fuse, che in medicina chiamiamo sincizi, possono spiegare perché il virus causi tanta infiammazione e trombosi».

«Eseguo almeno 600 autopsie ogni anno da 25 anni, di cui più di 100 di pazienti deceduti per vari tipi di polmoniti, ma – continua l’anatomo-patologa e prima firmataria della ricerca Rossana Bussani – non ho mai visto finora un danno così esteso e con queste caratteristiche».

Nello studio viene confermato come la Covid-19 implichi danni agli alveoli polmonari in tutti i pazienti deceduti, con associata trombosi nella vascolarizzazione polmonare nel 71% dei cadaveri presi in esame. Si osserva anche una persistenza di RNA virale negli alveoli, fino alle ultime fasi della malattia, nell’87% dei corpi analizzati.

I ricercatori suggeriscono, che questa persistenza di cellule anomale infettate sia alla base delle forme gravi di Covid-19. Nei risultati dello studio vengono riportate inoltre le patologie pregresse trovate in buona parte dei 41 pazienti deceduti, anche se la ricerca non ha lo scopo di trovare collegamenti causali col fenomeno dei sincizi: ipertensione; cardiopatie croniche; demenza; diabete; cancro.

Precisiamo che si tratta sempre di pazienti deceduti a causa della Covid-19, altrimenti non sarebbero stati selezionati per questo tipo di ricerca, con buona pace di chi millanta il contrario, confondendo i fattori che possono determinare la gravità di una infezione con la causa diretta del decesso.  

Quanto osservato dai ricercatori di Londra e Trieste potrebbe cambiare il nostro modo di intendere le fasi della malattia, in quanto contraddice l’immagine comunemente nota della Covid-19, ovvero di una patologia a decorso bifasico, in cui nella prima parte abbiamo una importanza rilevante della replicazione virale, seguita da una seconda in cui questa passa in secondo piano rispetto allo sviluppo dell’infiammazione.

«Sebbene le manifestazioni cliniche della malattia rimangano diverse durante la progressione della malattia, i nostri dati sfidano l’idea che la replicazione virale sia cessata nei pazienti con malattia avanzata – continuano gli autori – La presenza di abbondanti segnali citoplasmatici di RNA e l’espressione della proteina Spike nei polmoni dopo 30-40 giorni dalla diagnosi nel nostro studio suggerisce una replicazione in corso e postula un ruolo patogenetico continuo dell’infezione virale».

Foto di copertina: R. Bussani et al./EBioMedicine (2020) | Persistence of viral RNA, pneumocyte syncytia and thrombosis are hallmarks of advanced COVID-19 pathology.

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