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Coronavirus, i numeri in chiaro. Sebastiani: «Inutile chiudere alle 18 se tutti restano fuori a passeggiare»

07 Novembre 2020 - 21:14 Giulia Marchina
Il matematico invoca chiarezza «sui dettagli dell’albero decisionale usati per determinare il “colore” delle regioni/province autonome. Trovo che la situazione non sia gestita con la dovuta trasparenza»

In Italia, secondo il consueto bollettino della Protezione civile sulla situazione epidemiologica, sono +39.811 i nuovi casi da Coronavirus contro i +37.809 di ieri. Il giorno prima erano stati +34.505. Sono poi +425 le vittime registrate nelle ultime 24 ore contro le +446 di ieri e le +445 del giorno prima. Il totale dei decessi, dall’inizio della pandemia, ha raggiunto quota 41.063. Aumentano anche le persone in terapia intensiva, che arriva a quota 2.634 pazienti (+119 rispetto a ieri). «Per capire in che direzione va la curva, saranno decisivi gli sviluppi che porteranno le nuove misure introdotte nell’ultimo Dpcm», spiega a Open il matematico Giovanni Sebastiani.

Professore, a proposito di Dpcm, quello firmato dal premier Giuseppe Conte questa settimana sarà veramente efficace?

«È presto per dirlo, servono almeno due settimane. Ci conto molto, comunque. Non sono d’accordo, in parte, con una delle misure di contenimento che si è pensata. Non puoi dirmi che alle 18 chiudi tutto però mi consenti di rimanere a girare per strada come niente fosse. O chiudi e mandi tutti a casa o non chiudi. Bene invece per quanto riguarda lo stare a casa localizzato».

Pensa quindi il governo stia sbagliando su tutta la linea?

«No, affatto. Sono contento per la didattica a distanza. Era giusto frenare sulla scuola perché la ritengo uno dei principali motori di questa seconda ondata: non tanto la scuola in sé, ma quello che viene prima e dopo, come i viaggi sui trasporti pubblici».

I dati di oggi cosa ci dicono?

«Che abbiamo veramente molti decessi, ma questo, come atteso, segue con ritardo l’aumento esponenziale passato dei ricoveri e della terapie intensive. I numeri sono però talmente alti che ci potrebbe anche essere il contributi di conteggi tardivi e tutti assieme, come può accadere per decessi in strutture comunitarie, come ad esempio le rsa».

Dalla panoramica che traccia ogni giorno il bollettino, e guardando avanti nel tempo, secondo lei come evolverà la situazione?

«Per quanto mi riguarda stiamo facendo solo le prove generali. Se pensiamo che lo scorso anno i picchi influenzali, le polmoniti atipiche, li abbiamo avuti a gennaio-febbraio e non a novembre, è molto probabile che il peggio debba ancora arrivare. E arriverà con il freddo, con la stagione invernale».

C’è qualcosa che proprio non funziona secondo lei, anche da un punto di vista comunicativo?

«Sì, il fatto che non siano disponibili su base settimanale i dati dei famosi 21 parametri, ma soprattutto tutti i dettagli dell’albero decisionale che li utilizza per determinare il “colore” delle regioni/province autonome. Chiunque voglia, dovrebbe essere in grado di implementare l’albero e riprodurre a partire dai dati i risultati ottenuti dagli esperti governativi. Potremmo aggiungere all’analisi delle simulazioni e dei commenti che permetterebbe ai soggetti coinvolti, dai presidenti di regioni fino ai singoli cittadini di avere una comprensione maggiore di come viene operata la scelta e dei principali fattori che hanno determinato ad esempio la classificazione di una regione in fascia rossa. Trovo che la situazione non sia gestita con la dovuta trasparenza».

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