Coronavirus, i numeri in chiaro. Il virologo Maga: «Tra un mese scenari ancora più duri»
Sono 32.616 i nuovi positivi registrati in questa seconda domenica di novembre. L’Italia continua a combattere contro una curva epidemica ancora preoccupante e che ci si aspetta di poter inclinare con gli effetti delle ultime misure anti Covid decise dal governo. Il dato che non accenna a diminuire è però quello delle terapie intensive. I +115 ricoveri di oggi fanno eco a quanto rilevato dall’ultimo monitoraggio settimanale della Fondazione Gimbe che in modo chiaro parla di «ospedali sulla soglia della saturazione». Non solo. I dati diffusi dal Centro Studio Grottaglie sembrano confermare quanto registrato da Gimbe. Nel confronto con la situazione della settimana scorsa, intensive e numero di decessi sono i due punti più critici osservati. A leggere insieme ad Open questi numeri è il virologo Giovanni Maga.
«Quello che vediamo è una base di persone infette e ai domiciliari che ormai supera il mezzo milione di unità: sono circa 530 mila. Questo è un serbatoio da cui inevitabilmente un certo numero di persone transiterà negli ospedali. Da qui abbiamo il primo dato critico: sono ormai 10 giorni di seguito che si registrano oltre 1.000 ricoveri quotidiani. I dati di oggi confrontati con quelli della scorsa settimana sono ulteriormente confermati: il +40%».
Le intensive continuano a salire e a preoccupare: dalla scorsa settimana si registra un +49%.
«L’aspetto delle intensive è quello che catalizza di più l’attenzione, soprattutto perché richiede personale altamente specializzato e apparecchiature. Dobbiamo pensare che il ricovero dei pazienti Covid viene organizzato in reparti che normalmente sono ricavati dalle malattie infettive e dalla medicina generale. È chiaro che se abbiamo il problema di saturare un reparto di medicina generale, per esempio, emerge un ulteriore problema che non riguarda solo la Covid, ma anche tutte le patologie che afferiscono a quel reparto. E questo si è già verificato in più parti d’Italia. Abbiamo già superato la soglia di criticità del 30/40% in molti territori. Un dato che apre lo scenario di una crisi ancora più forte se non agiamo in fretta e bene».
+79% è il dato di crescita delle vittime dalla scorsa settimana ad oggi. Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi giorni?
«Sui decessi non è facile fare ragionamenti, come sappiamo i morti vengono registrati come casi di decessi Covid ma sappiamo che il virus nella maggior parte dei casi è un fattore che peggiora ulteriormente pazienti già con patologie di altro tipo. Così come i ricoveri critici, molti dei decessi sono il risultato di un iter di 7 o 10 giorni. Dunque i tempi sono lunghi. Quello che è fondamentale però è essere consapevoli che questi numeri saranno destinati ad aumentare ancora. Questo perché abbiamo accumulato un alto numero di persone che hanno acquisito il virus, oltre 500 mila. Fintanto che non riusciremo a rallentare la base di persone infette, non riusciremo a fermare i numeri dei decessi».
Oltre al numero dei contagi, (dalla scorsa settimana il 23% in più), quanto è rilevante ad oggi il rapporto tra tamponi positivi e quelli effettuati?
«Se guardiamo l’aumento dell’incidenza dell’infezione, e cioè il rapporto tra tamponi positivi e tamponi effettuati, possiamo individuare 3 fasi. La fase di netta crescita nel mese di settembre. Un’accelerazione molto rapida nelle due settimane centrali di ottobre, quando siamo balzati dal 10% a oltre il 20%. Fino poi a raggiungere una fase costante negli ultimi dieci giorni: ora stiamo vedendo infatti una fase dove sembra che l’aumento del tasso di incidenza stia rallentando, oscillando sempre tra il 20% e il 25%. Una crescita che, seppur presente, non corre veloce come prima».
Segno di speranza?
«Segno dei primi possibili risultati delle misure adottate verso la metà di ottobre. Ma c’è da fare di più. L’obiettivo è quello di rallentare ancora la curva e questo potremmo vederlo tra almeno altre due settimane. La strategia è quella di contenere i positivi in modo da riuscire a stare al di sotto della soglia di saturazione, 60% o 70%. Se così non fosse ci vorrà appena un mese per trovarsi in una situazione decisamente più critica».
Come interpretare la polemica sulle proiezioni fornite da Gimbe riguardo al numero di terapie intensive ipotizzato, rispetto a quello che invece il bollettino di oggi ha riportato? La sovrastima della Fondazione è di almeno 400 unità.
«Le proiezioni sono proiezioni: non sono sbagliate ma vuol dire che i capi su cui si basavano sono cambiati. Se l’osservato è diverso dall’atteso, qualcosa si è modificato in corsa. Mi sembra ingiusto polemizzare una previsione come quella di Gimbe. Uno dei motivi dei numeri più bassi può essere senz’altro poi il sovraccarico degli ospedali e quindi le persone in meno che risultato ricoverate. Così come ha spiegato lo stesso presidente Gimbe Nino Cartabellotta. La sofferenza che c’è in questo momento sia per i tamponi non ancora sufficienti (dovremmo arrivare a 300/400 mila invece che 200mila come adesso), sia per gli ospedali può portare a una quantità di persone non ospedalizzate ma non di certo prive di sintomi. Questo è uno degli elementi più critici del sovraccarico delle strutture, insieme all’impossibilità di curare tutti gli altri pazienti critici affetti da altrettante patologie gravi».
La strategia territoriale pensata ora dal governo per combattere in modo più capillare il virus nel Paese è l’idea giusta?
«Direi di sì. Ci sono poi delle situazioni all’interno delle ragioni rosse che potevano essere differenziate ulteriormente ed essere sottoposte a misure più leggere. Se pensiamo alla Lombardia, Milano non è certo, per esempio, come la sua area metropolitana: si tratta di una differenza di 10 volte il numero dei casi. L’urgenza di muoversi rapidamente ha fatto operare facendo di tutta un’erba un fascio. In ogni caso, ribadisco, agire in maniera territoriale era necessario. Ben vengano chiusure temporanee, ma non mi stancherò mai di ripeterlo: se i cittadini non agiscono in modo responsabile non c’è alcun lockdown che tenga».
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