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Usa 2020, parla il leader dei giovani democratici: «Il pilastro del partito? Le donne nere. E ora realizziamo il Green New Deal»

08 Novembre 2020 - 13:21 Riccardo Liberatore
Joshua Harris-Till racconta pregi e difetti della campagna democratica e delle sfide che aspettano il presidente neo-eletto

Quando Joshua Harris-Till, presidente degli Young Democrats of America, risponde al telefono ha la voce rauca. Si trova in Nevada e dice di aver dormito 3 ore – sono le 10.30 del mattino, orario locale – perché era impegnato nello scrutinio dei voti, nonostante lui viva in Oklahoma, lontano dallo Stato desertico, tra gli ultimi ad essere assegnati. Sono passati due mesi dalla volta in cui ci siamo sentiti e gli faccio gli auguri per la vittoria, ma lui aspetta qualche secondo prima di rispondere. Mi spiegherà più tardi di aver appreso in quel momento della vittoria di Biden. Sembra stanco, ma dice che in qualche modo festeggerà. «Sono a Las Vegas dopotutto». Forse non è il momento migliore per fare un bilancio, ma ci provo lo stesso.

Parto con una domanda scontata. Come si sente?

«Eccitato, teso, non saprei. È il culmine di giorni molto lunghi e pieni di impegni. È stato uno sprint finale prima di tagliare il traguardo».

Il momento più memorabile quale è stato?

«Vedere file e file di persone in Oklahoma, non era mai successo prima. Molti non erano abituati, ma alla fine è andata bene».

Al di là dell’affluenza senza precedenti e la vittoria di Biden, cosa ha funzionato nella vostra campagna elettorale e quali sono stati invece gli errori? Si è parlato per esempio del mancato sostegno dei latinos.

«Sai, secondo me quasi non ha senso parlare del voto dei “latinos”, visto che sono un gruppo estremamente eterogeneo ed è difficile capire se abbiamo fatto bene con “loro” o meno. Direi che siamo stati molto bravi a mobilitare gli elettori in generale. Nel 2016 Hillary Clinton era abbastanza sicura di vincere perché non prendeva particolarmente sul serio Donald Trump e in campagna elettorale si era focalizzata principalmente sui luoghi in cui pensava che il partito democratico avrebbe potuto guadagnare nuovi seggi al Congresso. Joe Biden invece si è concentrato al 100% per vincere la presidenza e ha iniziato a fare comizi in posti come la Georgia, l’Arizona, la Pennsylvania…».

Si dice che Obama fosse riuscito a creare una coalizione vincente tra i voti dei neri e i bianchi del Nord. È stato così per Biden? E gli under 30 in tutto questo dove si collocano?

«Sicuramente i giovani sono stati importanti: lo abbiamo visto dall’affluenza enorme soprattutto nel voto anticipato. E poi la squadra di Biden è stata sempre in contatto con noi, ci ha coinvolto molto. Direi che anche i voti dei neri sono stati importanti. Dopo le primarie Biden si è speso molto per essere la loro prima scelta. Anche se più uomini neri hanno scelto Donald Trump quest’anno rispetto a quattro anni fa, le donne nere – che sono il vero pilastro di questo partito – erano al suo fianco. Ma se dobbiamo descrivere un “tipo” di persona, direi che la coalizione vincente di Biden era composta soprattutto da persone “perbene”, stanche della retorica e dei modi pieni di odio di Trump».

Non mi ha detto però cosa avete sbagliato…

«Diverse cose! Sicuramente potevamo coinvolgere meglio diversi gruppi di minoranze. Credo che sia stato un errore concentrarci così tanto sulle donne bianche, infatti hanno votato per Donald Trump più questa volta che la scorsa. Dovremmo concentrarci maggiormente sulle minoranze, sui giovani, sugli anziani. Inoltre, quando parliamo di costruire una coalizione, avremmo dovuto avere una strategia migliore per il Senato e per la Camera dei rappresentanti, dove abbiamo perso dei seggi. La Georgia sarà l’ago della bilancia per capire chi davvero governerà».

Attualmente il Senato è in bilico tra repubblicani e democratici. Ma se dovesse rimanere a maggioranza repubblicana, Biden come si comporterà?

«Penso che Mitch McConnell [il leader dei repubblicani al Senato ndr] dovrà prendere una decisione molto importante, visto che sarà lui il leader de facto del partito repubblicano. Dovrà decidere se fare ciò che è giusto per il Paese o se badare soltanto al suo partito, a sé e ai suoi amici. Spero fortemente che lui e Biden siano in grado di lavorare insieme – lo hanno fatto in passato -, ma il sostegno di McConnell per Trump, soprattutto nei giorni scorsi mentre il presidente gridava alla truffa, è stato davvero brutto da vedere».

Con Biden vince l’ala moderata del partito, nonostante la parte più radicale – da Sanders a Ocasio-Cortez – sia stata protagonista durante le primarie e nell’ultima legislatura. Riusciranno ad essere incisivi?

«Quando si tratta di politiche progressiste, la verità è che è più importante avere un Congresso progressista di un presidente progressista. Se non riesci a portare il Green New Deal [il piano di investimenti ambientali ndr] in parlamento, allora non cambia molto. Credo che Joe Biden farà ciò che vuole il Paese: se il Congresso e il Senato riusciranno a far arrivare il Green New Deal sulla sua scrivania, credo che lo firmerebbe».

E il Congresso è più progressista dopo queste elezioni?

«No, neanche un po’…. Ci sono un paio di persone più progressiste, ma la maggioranza non lo è. Credo che rispetto alla settimana scorsa, sia probabilmente peggio, visto che c’è stato un aumento complessivo dei repubblicani tra la Camera e il Senato».

Un commento sulle contestazioni avvenute dopo il voto: è sorpreso che – per il momento almeno – siano state pacifiche? Alla fine Trump accetterà una transizione pacifica del potere?

«No, non credo che ci sarà un trasferimento pacifico di potere. Anzi, non escludo che dovranno portarlo via con forza dalla Casa Bianca. Per quanto riguarda le proteste, credo che finora siano state molto unilaterali e per questo non ci sono stati scontri. Dubito fortemente che i democratici andranno a contestare i repubblicani che attualmente protestano fuori dai seggi. A noi basta che vengano contati tutti i voti, come dovrebbe essere in democrazia. C’è poco da aggiungere».

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