Usa 2020, cresce la fiducia dei bianchi per i democratici: il 42% ha votato per Biden – Lanalisi del voto
I racconti non ufficiali tramandano che, quando il Civil Rights Act venne approvato nel 1968, l’allora presidente democratico statunitense Lyndon B. Johnson – sostenitore della legge contro la segregazione razziale – sentenziò: «Abbiamo perso il Sud per una generazione». Il Sud dei bianchi, degli evangelici, del ceto medio. Alla prova della storia, la previsione di Johnson fu addirittura ottimista: nonostante da allora ci furono altri 5 governi democratici, i maschi bianchi non votarono più in maggioranza per un candidato liberal. Gli exit polls, si sa, vanno maneggiati con cautela – e i calcoli prima del 1976 sono da prendere come stime, non esistendo questo tipo di indagine. Ma seppur storicamente soggetti a revisioni e accorgimenti, i dati sulle intenzioni di voto danno un quadro complessivo e spesso eloquente. Tra le informazioni più interessanti c’è proprio quella dell’orientamento di voto tra i bianchi. Quest’anno la percentuale di loro che ha votato per Joe Biden è stata del 42% il (riferimento è il New York Times), contro il 57% di Donald Trump. E così via: nel 2016 il rapporto era il 37% per Hillary Clinton e 57% per Trump, mentre nel 2012 il rapporto è stato 59% per Mitt Romney e 29% per Barack Obama.
Nel periodo successivo al mandato di Johnson, tra la carica di Richard Nixon (1969-1974) e quelle di Ronald Reagan (1981-1989), il Sud bianco passa inesorabilmente ai repubblicani e i due partiti vengono definitivamente trasfigurati. Il partito democratico diventa il mosaico delle grandi Americhe, mentre quello repubblicano diventa sempre di più «il partito dei bianchi benestanti». «In Italia c’è il convincimento che a portare alla vittoria Trump nel 2016 sia stata la working class dei bianchi», dicono a Open Mario Del Pero, professore di Storia Internazionale e storia della politica estera statunitense alla SciencesPo di Parigi, e Arnaldo Testi, che è stato professore di Storia degli Stati Uniti d’America all’Università di Pisa ed è tuttora autore del blog Short Cuts America. «Ma è una notizia falsa: sono stati i cittadini bianchi con redditi medio-alti, tra i 100 e i 200mila euro di reddito annui, a farlo vincere».
Come spiega Testi, dagli anni 30 in poi – tranne la «défaillance» del 1972 con George Stanley McGovern e qualche piccolo spostamento di parti durante Reagan – la classe operaia sindacalizzata ha sempre votato in maggioranza per i democratici. Oltretutto, i lavoratori della categoria sono ormai al 40% appartenenti a etnie non-bianche. Non ci sono dubbi che sia stata l’America wasp dei commercianti e dei piccoli imprenditori a eleggere Trump nel 2016: un America che rappresenta il 20-25% dell’elettorato.
La paura del sorpasso
«L’elettorato bianco che vota repubblicano è un elettorato che vive sulla difensiva», dice Testi. «Ha paura del sorpasso etnico e cerca di rimanere attaccato a un’idea di America che ormai non esiste più». La paura di diventare una minoranza è forse tra gli input maggiori che condizionano il voto dei cittadini bianchi, mediamente istruiti e non residenti nelle grandi città. «Obama stesso era stato per loro un fantasma, il simbolo di qualcosa che stava per avvenire», spiega Testi. Secondo gli statistici, tra circa un quarto di secolo i bianchi saranno meno delle altre popolazioni. Una cosa tra l’altro già avvenuta negli Usa, negli Stati che più risentono dell’immigrazione – dal Texas alla California, fino ai grandi Stati urbani del Nord-Est. «Ma è proprio in quegli Stati, soprattutto nella fascia del Nord-Est, che i bianchi votano democratico: gli Stati in cui Trump ha vinto sono quelli in maggioranza bianca», spiega il professore di Pisa. «Il suo elettore è spaventato, e vede la convivenza tra etnie come qualcosa di lontanissimo, una minaccia che non sa mettere a fuoco».
Il genere conta, ma il colore della pelle di più
Nell’era più recente, a prendere il minor numero dei voti tra i bianchi fu Hillary Clinton (37%). Per trovare una percentuale inferiore bisogna andare negli anni in cui lo strappo dei bianchi con i dem era al suo massimo: nel 1984 il democratico Walter Frederick Mondale prese il 34% dei voti tra i bianchi, contro il 66% di Reagan. A prenderne di più (dopo Carter nel 1976) è stato invece suo marito, Bill Clinton, nel 1996 (44%). «Il vero scarto va trovato nel voto dei maschi bianchi, generalmente con un livello di istruzione bassa o medio-bassa (che negli States significa non avere una laurea)», spiega Del Pero. «Nel 2016 il dato è stato impressionante: ha votato per Trump circa il 60% di loro, contro il 20% che ha votato invece per Clinton». E le donne? Il loro voto sembra essere orientato in maniera leggermente diversa (e meno netta). «Nel 2008 Obama avrebbe perso senza il voto delle donne e degli afroamericani (questi lo votarono al 95%)», sottolinea il professore della SciencesPo. «In questi ultimi due anni c’è stato un proliferare dei voti dem tra le donne di sobborghi, come testimoniato dai risultati delle elezioni di midterm del 2018». Sul lungo periodo, però, a fare la vera differenza restano le origini più che il sesso: «I maschi bianchi – spiega ancora Del Pero – hanno votato Trump circa il 10% in più rispetto ai donne. Ma le donne bianche lo hanno votato comunque al 55%, contro il 53% di Biden».
Immagine di copertina: EPA/Cristobal Herrera-Ulashkevich
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