Dentro un ospedale Covid di Roma tra medici e infermieri allo stremo: «Peggio di marzo. La gente fuori se ne frega» – Il video
L’Istituto clinico di Casal Palocco, a Roma, ha dovuto trasformare in cinque giorni i propri reparti di malattie infettive in reparti dedicati al Covid, quando a marzo il contrasto alla pandemia, in Italia, faceva acqua da tutte le parti e nessuno sembrava riuscire a starle dietro. L’ospedale è diventato presto una sede distaccata dell’Istituto Spallanzani, celebre perché da lì sono partiti i primi bollettini sul Coronavirus – il caso della coppia cinese all’Hotel Palatino ha fatto scuola. Da allora, sono otto mesi che qui si lavora instancabilmente. In quest’ultimo periodo la situazione si è aggravata, complici i numeri che sta registrando il Lazio.
Dagli spogliatoi al reparto
Per lavorare prima si indossano le divise di cotone, poi il camice usa e getta, la doppia mascherina, doppi guanti, gli zoccoli sanitari col copri scarpe, cuffia e visiera. Non si esce dai reparti se non si è eseguita la “svestizione”: per farlo, ad ogni passaggio ci si disinfetta le mani con la Clorexidina, prodotto utilizzato anche a mani nude, come sostituto dei comuni igienizzanti: «A lungo andare questa sostanza ti consuma la pelle, puoi arrivare ad avere le impronte digitali inesistenti», spiega il direttore sanitario Paolo Onorati.
Operatori sanitari, medici e infermieri fanno percorsi diversi all’interno della struttura. Una linea rossa di nastro adesivo sul pavimento all’entrata delle terapie intensive delimita il confine tra il pulito e lo sporco. Al di là di quella linea, chi lavora a stretto contatto con i malati non può andare, o rischia di “sporcare” il mondo esterno, di contaminarlo. «Siamo stanchi», raccontano gli infermieri di reparto. «La domanda che ci facciamo è: quando finirà tutto questo? Siamo esausti per il lavoro ininterrotto – spiegano – ma soprattutto della gente là fuori che se ne frega di quello che succede».
I turni di lavoro sono in generale, per tutti, di 12 ore. Qualcuno racconta di aver visto medici in servizio anche per 36 ore consecutive. «Siamo alla frutta». In Istituto la maggior parte del personale ha perso il senso del tempo, «non riesco più a capire come funzioni la settimana, come si dice: non ho più la cognizione del tempo». È un continuo fluire di ore, e di malati che arrivano. Tra chi è ricoverato, nessuno ha sintomi lievi: «Arrivano solo casi gravi, persone che magari hanno insufficienze respiratorie, polmoniti, febbre alta da parecchio tempo».
Situazione fuori controllo
Medicina 1, 2, 3 sono piene. «La terapia intensiva è quasi a regime, e non sappiamo più come fare. La situazione è peggiore di marzo», racconta Davide che si è laureato da un anno in scienze infermieristiche e questo è praticamente il suo esordio nella professione. Le 24 postazioni della terapia intensiva, dislocate in più stanze, su corridoi diversi, sono terminate. «La situazione è ormai fuori controllo». Per ospitarne di nuove, una squadra di operai sta lavorando in tempi record – anche sabato e domenica – per dare vita a un nuovo reparto, con più di una decina di letti. Anche gli oltre 100 posti in Medicina Covid sono saturi.
Seconda ondata prevedibile
Una seconda ondata era prevedibile? «Sapevamo che sarebbe arrivata», dicono gli infermieri. «Per questo guardavamo con diffidenza quel “Libera tutti” scattato a fine maggio quando ognuno ha ripreso a fare quasi la vita di sempre. Non ci capacitavamo di come le spiagge potessero essere affollate in quel modo durante l’estate, mentre noi qui assistevamo gente che aveva fame d’aria e che, in alcuni casi, non è mai più uscito da questo posto». Come mai chi ci governa non ha agito con consapevolezza e un pizzico di lungimiranza? A questa domanda ci chiedono di spegnere la videocamera: «Perché vale più l’economia di un Paese delle vite umane».
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